Biomimesi e Cultura del Design

Scritto da Lucia Pietroni in Biomimesi, Ecodesign, News

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Pubblicato il giorno 11 novembre 2011 - Nessun commento



   


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Anche nell’ambito della cultura del design emergono importanti contributi teorici che sottolineano ed evidenziano il crescente interesse per gli insegnamenti provenienti dalla biosfera e per l’approccio biomimetico all’innovazione.

Tra gli studiosi che, da molti anni, si occupano dei temi del design per la sostenibilità ambientale è sostanzialmente condivisa la consapevolezza che, per trasformare in modo realmente sostenibile il nostro modello di sviluppo, sono necessarie “innovazioni radicali” e non “incrementali” (14), ovvero è necessario procedere “a salti”, come fa la natura, e non linearmente.

Come ha affermato più volte Ezio Manzini nei suoi scritti, abbiamo bisogno di una “discontinuità sistemica”, di un cambiamento sistemico che implichi una qualche forma di rottura della continuità rispetto alla situazione data, per tentare di raggiungere gli obiettivi della sostenibilità ambientale (15).

Inoltre, è altrettanto condivisa la convinzione che è sempre più necessario porre al centro del dibattito il concetto di “sostenibilità forte”, con una particolare attenzione alla qualità, oltre che alla quantità, di capitale naturale disponibile da conservare e rigenerare per le generazioni future.

Perciò diventa sempre più importante conoscere e comprendere ulteriormente i sistemi naturali e apprendere le loro strategie evolutive, imparando dalla natura ad operare, progettare e produrre senza spreco, senza rifiuti e emissioni, ed a trasformare i rifiuti in nuove risorse in un sistema “a cascata” estremamente efficiente.

Di seguito tratteggeremo brevemente alcuni significativi contributi, sviluppati nel contesto culturale italiano, che evidenziano come principi, processi e strategie virtuose per la sopravvivenza e l’evoluzione dei sistemi biologici lo siano anche per lo sviluppo di soluzioni progettuali e tecnologiche innovative e sostenibili e sottolineano, pertanto, l’importanza dell’apporto della Biomimesi al design per la sostenibilità ambientale.

Design ad alto potenziale rigenerativo

Uno dei principali contributi è quello di Ezio Manzini, che, in alcuni suoi saggi, sostiene che i designer debbano proporre e poi dare forma a soluzioni sostenibili e radicalmente innovative, coerenti con i principi della sostenibilità e caratterizzate da due fondamentali criteri: una “bassa intensità di materiale ed energia”, ovvero soluzioni altamente eco‐efficienti e un “alto potenziale rigenerativo”, ovvero soluzioni capaci di agire da fattore rigenerativo delle qualità del contesto (ambientale, sociale, culturale e tecnologico), in cui si vanno a collocare.

Come Manzini, anche Francois Jégou sostiene l’importanza del concetto di “rigenerazione” nell’attuale fase di cambiamento sistemico e di transizione verso la sostenibilità ambientale.

Infatti Jégou definisce “la transizione verso la sostenibilità” come un processo sociale d’apprendimento grazie al quale, progressivamente, tra errori e contraddizioni, gli esseri umani impareranno a vivere meglio consumando molto meno e rigenerando la qualità del proprio habitat, vale a dire dell’ecosistema globale e dei contesti di vita locali in cui si trovano a vivere.

Secondo Manzini e Jégou, il concetto di “alto potenziale rigenerativo” si riferisce alla capacità della soluzione progettuale di integrarsi nel suo contesto d’uso valorizzando e, nel caso, rigenerando le risorse in esso disponibili. Esprime dunque la dimensione propositiva di una soluzione, la sua capacità di modificare positivamente lo stato delle cose e di generare condizioni favorevoli alla vita. Per essere definito sostenibile, un sistema deve, quindi, essere fortemente integrato nel proprio contesto e deve valorizzare e rigenerare le risorse ambientali e sociali localmente disponibili.

Inoltre, Manzini parla anche di “società rigenerativa” ovvero una società e un’economia in cui la creatività e l’intraprendenza dei soggetti, le potenzialità della tecnologia e la capacità organizzativa delle imprese possano diventare agenti della sostenibilità: attori capaci di operare per la rigenerazione delle qualità fisiche e sociali dell’ambiente (16).

Pertanto, il concetto di “rigenerazione”, mutuato dallo studio dei sistemi biologici e degli ecosistemi, diventa un
importante strumento operativo, nell’ambito della cultura del design, per lo sviluppo di proposte realmente sostenibili e radicalmente innovative.

Design sistemico

Un altro contributo di rilievo è quello di Luigi Bistagnino, che, nel suo recente libro “Design sistemico. Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale” (17), sostiene che, durante i suoi 3,8 miliardi di anni di esperienza, la natura ha sviluppato progetti di forma, di processo e di sistema che vale la pena osservare, comprendere ed emulare.

Da sempre l’uomo ha tentato di capire e imitare i processi naturali. Attualmente, però, le nuove prospettive di studio e le maggiori conoscenze scientifiche e tecnologiche offrono spunti progettuali capaci di soddisfare sia i requisiti di funzionalità ed efficienza, sia i principi di sostenibilità ambientale.

È quindi chiaro, secondo Bistagnino, che la biomimesi può offrire notevoli vantaggi sia in termini di efficienza ‐ perché in natura i processi avvengono a temperatura e pressione ambiente, utilizzando gli elementi chimici più comuni ed in maniera limitata, sia in termini di sostenibilità perché imitare la natura significa agire in accordo e non in contrasto con essa.

Bistagnino, inoltre, sottolinea che ispirarsi alla natura significa ragionare per relazioni e secondo i principi della complessità. Gli elementi stessi che compongono un sistema sono una rete di relazioni inserita in reti più grandi, dove il risultato qualitativo dell’intero sistema è maggiore della somma delle singole parti.

In linea con questo approccio sistemico, diventa necessario trasformare l’attuale modello produttivo lineare, che consuma risorse e produce rifiuti ed emissioni, in un modello produttivo sistemico, che preferisce le risorse vicine rispetto a quelle lontane e che attiva, tramite gli output di un sistema che diventano input di un altro, una collaborazione virtuosa tra i processi produttivi (agricoli e industriali), il sistema naturale, il contesto territoriale e la comunità, dando vita così ad una rete relazionale aperta che vitalizza il territorio e lo caratterizza nelle sue precipue qualità.

Come afferma Bistagnino, infatti, bisogna riportare nell’equazione progettuale complessiva anche la variabile rappresentata da quelle risorse (scarti, rifiuti) che altrimenti finirebbero per non essere utilizzate. È necessario riacquistare la capacità culturale e pratica di saper delineare e programmare il flusso di materia, che scorre da un sistema a un altro, in una metabolizzazione continua, come avviene in natura, che diminuisce l’impronta ecologica e genera un notevole flusso economico, mentre attualmente gli scarti dei processi produttivi sono solo un costo.

Questo modello economico-produttivo bio-ispirato e il conseguente approccio progettuale, definito da Bistagnino appunto “Design sistemico”, trae ispirazione dai fondamenti della “Scienza Generativa”, basata sul presupposto che, a seguito di una qualunque trasformazione di una risorsa, tutti i sottoprodotti sono studiati per ottenere un valore aggiunto generativo e quindi sono oggetto di attenta valutazione.

Pertanto, il “Design sistemico” è la progettazione di sistemi aperti in cui non esistono scarti di produzione né rifiuti, è un approccio progettuale per fare di più con le risorse disponibili, è un modello differente di economia che attiva, in un contesto rigorosamente locale, una rete di relazioni per trasformare gli scarti (output) di un sistema produttivo in una risorsa (input) per un altro, generando valore, innovazione e sviluppo sostenibile.

Design Biomimetico o Hybrid Design

Un ulteriore e interessante contributo teorico-metodologico sull’approccio biomimetico al design e sull’intersezione tra l’evoluzione delle conoscenze biologiche e i progressi maturati nell’ambito delle nuove tecnologie, ci viene offerto da Carla Langella, che, nei suoi scritti, ed in particolare nel libro “Hybrid Design”, esplora le inedite prospettive di relazioni tra progetto e biologia, che offrono alla cultura del progetto interessanti possibilità di configurare nuovi e fascinosi scenari di azione e speculazione progettuale (18).

Secondo la Langella, ciò che distingue oggi la bio-ispirazione da quella del passato è, quindi, la straordinaria opportunità di fare riferimento a nuove conoscenze e strumenti in grado di osservare la natura nei suoi più intimi dettagli, fino alla scala nanometrica, svelandone segreti e principi un tempo criptati.

Infatti, i progressi compiuti negli ultimi decenni nelle aree più innovative delle scienze biologiche, come la biologia molecolare e la genetica, hanno permesso di svelare le logiche, i principi, i linguaggi e i codici su cui si fonda il progetto della natura.

Trasferire tali conoscenze al design, attraverso opportune metodiche, consente di generare nuovi artefatti, materiali o immateriali, nei quali si rispecchino, concettualmente e concretamente, alcune delle qualità rivelate dal mondo naturale. In tale scenario si colloca un nuovo approccio progettuale definito “Hybrid Design”, che non si limita a copiare gli aspetti morfologici della natura ma cerca di trasferire logiche, codici e qualità complesse dei sistemi biologici al design per trovare soluzioni progettuali sostenibili ai problemi dell’uomo e per sviluppare prodotti e servizi innovativi.

Infatti, se la bionica, fin dagli anni ’60, si proponeva di estrarre forme, strutture e funzioni dalla natura per crearne delle “copie” il più possibile somiglianti, l’Hybrid Design cerca di approdare a soluzioni progettuali formalmente anche molto differenti rispetto ai sistemi biologici ai quali si ispira, ma simili nei principi generativi, nei meccanismi d’azione, nelle strategie evolutive. La definizione di “Hybrid Design” nasce da un’ispirazione tratta da una nuova tipologia di materiali sintetici, ottenuti in laboratorio mediante l’integrazione di nanotecnologie con protocolli e principi della biologia molecolare.

Da quest’ambito, che costituisce uno dei riferimenti più avanzati nella creazione di artefatti bioispirati, l’Hybrid Design trae un approccio di tipo concettuale che prefigura artefatti con caratteristiche intermedie tra natura e tecnologia, la cui stessa genesi ed evoluzione può essere definita ibrida.

L’Hybrid Design, dunque guarda con forte intenzione di trasferimento ad ambiti ad alto contenuto scientifico e tecnologico. Tali ambiti costituiscono un riferimento procedurale, metodologico ma anche un bacino di strumenti e tecnologie da poter utilizzare.

Nuovi materiali e nuove tecnologie costituiscono gli strumenti attraverso i quali l’Hybrid Design concretizza concetti bio‐ispirati in prodotti e sistemi capaci di coniugare le esigenze ambientali di de-materializzazione e riduzione del numero di componenti con le qualità biologiche di multifunzionalità, autonomia, auto-organizzazione, auto-adattamento, auto-assembraggio.

Infatti, come sostiene la Langella, adottare nel design codici, principi e logiche tratte dalla biologia significa non solo ispirarsi a come la natura realizza i suoi prodotti, ma soprattutto a come li sviluppa, li fa crescere, li mantiene in vita e li rigenera. Esiste una sostanziale differenza tra il modo di produrre degli uomini e della natura.

L’uomo, nel realizzare i propri artefatti, prende le materie prime dalla natura e le trasforma ottenendo dei prodotti che, alla fine della loro vita utile, si tramutano in scarti, emissioni prevalentemente non utilizzabili che si accumulano nell’ambiente danneggiandolo.

La natura, invece, preleva materie prime, le trasforma e vi realizza i suoi prodotti che crescono, si riproducono e alla fine della loro vita rientrano nei cicli biologici reintegrandoli, senza produzione di rifiuti. In natura tutto viene
riusato o riciclato.

Imparare a progettare dalla natura, secondo la Langella, significa anche imparare ad applicare questa ciclicità chiusa propria dei processi biologici, significa realizzare artefatti compatibili con i cicli biologici che regolano la vita degli uomini e con l’ambiente naturale in un’ottica “zero emission o from cradle to cradle” (19).

Design bio-ispirato

Un ultimo contributo determinante, nell’attuale dibattito sull’importanza e l’utilità dei principi e degli strumenti della biomimesi per il design, è il recente libro “Il progetto della Natura” di Giuseppe Salvia, Valentina Rognoli e Marinella Levi (20).

In questo volume, gli autori sostengono che la natura è fonte di ispirazione per i progettisti non solo da un punto di vista formale ed emozionale, quanto come modello da imitare in termini di equilibrio, vantaggio, evoluzione e progresso, ovvero come modello strategico per uno sviluppo sostenibile.

Secondo loro, il corredo di espedienti che potenzialmente potrebbe essere di interesse per il progettista è illimitato, in quanto da ciascun organismo è possibile considerare aspetti differenti di volta in volta utili ad uno specifico fine. L’aspetto principale che caratterizza tutte le creature viventi è senz’altro il principio del minimo investimento per il massimo rendimento. Gli organismi naturali tentano, infatti, di consumare la quantità minima di energia possibile per le proprie attività, al fine di garantire maggiori prestazioni per la perpetuazione della specie.

Appare chiaro dunque come l’uomo possa ricavare proficui suggerimenti per la progettazione, realizzazione e ottimizzazione delle proprie strutture e artefatti, mantenendo al contempo un vantaggioso rapporto tra costi e benefici, ad esempio attraverso un consumo energetico opportunamente ridotto al minimo. Pertanto, di fronte alle attuali problematiche energetiche e ambientali, il crescente interesse per la Biomimesi e per un design bioispirato è quanto mai significativo e di grande utilità per la necessaria transizione verso la sostenibilità ambientale. Inoltre, come evidenziato dagli autori, da pochi anni, si è assistito, da un lato, alla capacità di analisi e comprensione della realtà, arrivando anche a livello nanometrico, e, dall’altro, alla capacità di
produzione di artefatti sulla stessa ridottissima scala.

Ciò ha contribuito all’individuazione di alcuni importanti fattori e leggi costitutive della Natura, la quale agisce su diversi livelli, tutti fondamentali e
decisivi per il successo generale dell’organismo e dello specifico espediente.

La conoscenza degli elementi di costruzione basilare del progetto della Natura consente, infatti, la riproduzione dei processi virtuosi in natura, come la replicazione e l’auto-assemblaggio, attualmente sotto studio e dall’immenso valore nei prossimi decenni (ad esempio, proteine in grado di assemblarsi e configurarsi secondo istruzioni “interne” che abbattono il consumo di energia e consentono un’elevata versatilità); oppure l’imitazione di processi naturali come l’autoriparazione e la rigenerazione, che, se correttamente replicati, potrebbero comportare l’allungamento della vita di molti prodotti fino anche alla loro sostituzione automatica o alla produzione su larga scala a fronte di costi energetici estremamente ridotti.

Molti di questi principi, processi, strategie ispirati dalla natura e utili al design, insieme a numerosi esempi di innovazioni biologiche relative a materiali e struttura, processi produttivi e meccanismi d’azione, sono descritti e raccolti in questo interessante volume, proprio per dimostrare e sottolineare il prezioso contributo della Biomimesi, e delle recenti e nuove conoscenze scientifiche, allo sviluppo di processi e prodotti bio‐ispirati, migliori a livello prestazionale e più sostenibili.

Riflessioni conclusive

Come si è cercato di evidenziare, dal recente dibattito della cultura del progetto emerge, anche se con declinazioni e con prospettive di sviluppo differenti, la condivisione dell’idea che, nell’attuale fase di maturità del dibattito sulla sostenibilità ambientale e alla luce dei recenti sviluppi e delle enormi potenzialità delle nanoscienze e delle  nanotecnologie, l’approccio biomimetico o bio-ispirato al design è molto promettente e destinato in futuro ad offrire un contributo ancora più significativo e determinante. Infatti, il numero di espedienti biologici utili per il design è potenzialmente illimitato.

Pertanto, da un lato, gli scienziati e i biologi dovrebbero continuare ad incrementare le banche dati di innovazioni bio-ispirate e renderle il più possibile accessibili a chi può trasferirle e applicarle in soluzioni progettuali e tecnologiche ai problemi dell’uomo, e, dall’altro lato, i progettisti dovrebbero imparare ad interrogare la banca dati della natura con metodo e sistematicità, chiedendosi sempre in primo luogo: Come ha risolto questo problema la natura? Con quale espediente, con quale processo, con quale strategia? Ed infine, a conclusione di questa breve riflessione, possiamo fare un’ultima considerazione.

Per ottenere risultati apprezzabili in termini di sostenibilità ambientale dalla progettazione bio-ispirate, sarebbe veramente auspicabile: formare gruppi interdisciplinari di progetto; guardare e interrogare la natura in modo nuovo e con nuovi strumenti scientifici e culturali; e, soprattutto, integrare efficacemente i principi e gli strumenti della Biomimesi con gli strumenti e le strategie più consolidate di Design per la sostenibilità.

In tal modo, molto probabilmente, la Biomimesi potrà in futuro fornire alla cultura del design un contributo non solo promettente, ma realmente strategico per lo sviluppo di soluzioni progettuali sostenibili e innovative, “ecologicamente responsabili e socialmente rispondenti, rivoluzionarie e radicali nel senso più vero dei termini”, come avrebbe affermato Victor Papanek (21) e di “vero design”, come avrebbe detto Giovanni Klaus Koenig, ovvero capaci di “forti interazioni tra scoperta scientifica, applicazione tecnologica, buon disegno ed effetto sociale positivo” (22).

NOTE

15) -  Per una definizione del concetto di “discontinuità sistemica”, cfr. E. Manzini, M. Susani, Solid Side. The search for consistency in a changing world, V + K Publishing, Netherlands, 1995; E. Manzini, C. Vezzoli, Lo sviluppo dei prodotti sostenibili, Maggiori Editore, Rimini, 1998; E. Manzini, C. Vezzoli, Design per la sostenibilità ambientale, Zanichelli, Milano 2007.

16) -  E. Manzini, F. Jégou, Quotidiano sostenibile. Scenari di vita urbana, Edizione Ambiente, 2003. Per approfondire il concetto di “soluzioni sostenibili ad alto potenziale rigenerativo”, cfr. anche E. Manzini, Context-based well-being and the concept of regenerative solutions, in The Journal of Sustainable Product design, Vol. 2, N 3-4, UK, 2004.

17) -  Bistagnino L., Design Sistemico. Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale, editore Slow Food, Bra (Cn),
2009.

18)  – C. Langella, Hybrid design. Progettare tra tecnologia e natura, Franco Angeli, Milano, 2007; C. Langella, Biomimetica e design, in Sala M. (a cura di), I percorsi della progettazione per la sostenibilità ambientale: un confronto sull’evoluzione della didattica e della ricerca del settore nelle Università italiane, Convegno nazionale ABITA, Alinea, Firenze, 2004; C. Langella, Design biomimetico. Strategie progettuali sostenibili ispirate dalla
natura, in Abitare la Terra, n. 15/2006.

19) Per un approfondimento dell’approccio “from cradle to cradle” si veda in particolare: W. McDonough, M. Braungart, Cradle to Cradle. Remaking the Way We Make Things, North Point, New York, 2002 (trad. it. Dalla culla alla culla. Come conciliare tutela dell’ambiente, equità sociale e sviluppo, Blu edizioni, Torino, 2003)

20) – G. Salvia, V. Rognoli, M. Levi, Il Progetto della Natura. Gli strumenti della biomi mesi per il design, Franco Angeli, Milano, 2009.

21) -  V. Papanek, Design for the Real World: Human Ecology and Social Change, Pantheon Books, New York, 1971 (trad. it. Progettare per il mondo reale, Mondadori, Milano, 1973). In questo libro, Victor Papanek afferma: “La progettazione se vuole essere ecologicamente responsabile e socialmente rispondente, deve essere rivoluzionaria e radicale nel senso più vero dei termini. Deve votarsi al ‘principio del minimo sforzo’ adottato dalla natura, in altre parole al massimo della varietà con il minimo delle invenzioni, ovvero ad ottenere il massimo con il minimo. Ciò significa consumare meno, usare di più, riciclare i materiali”.

22) -  G. K. Koenig, Design: rivoluzione, evoluzione o involuzione?, in Ottagono, n. 68, 1983, p.24

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Informazioni sull'autore: Lucia Pietroni

Architetto, laureata presso il Politecnico di Milano. Dottore di ricerca in Progettazione Ambientale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Da molti anni svolge attività didattica e di ricerca nell’ambito dell’Eco-design e dell’Eco-innovazione. Attualmente è Professore Associato in Disegno Industriale presso la Scuola di Architettura e Design “E. Vittoria” dell’Università di Camerino, con sede ad Ascoli Piceno, dove dal 2007 è anche Direttore del Master in Eco-design & Eco-innovazione. Ha partecipato a molti progetti di ricerca nazionali ed internazionali. Ha ideato, curato e coordinato convegni, mostre e workshop di design, in particolare sui temi del design sostenibile e dell’eco-innovazione, sui quali ha anche scritto numerosi saggi e articoli. È stata direttore scientifico dell’edizione “0” della Biennale Internazionale del Design, svoltasi tra Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto dal 21 aprile al 15 luglio 2010. Inoltre è coordinatore e proponente di uno spin-off accademico denominato “EcodesignLab”, attualmente in fase di costituzione presso l’Università di Camerino, la cui mission è l’offerta di servizi integrati di eco-progettazione destinati in particolare alle PMI.

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