“Geopolitica dell’Acqua”: Q&A di Giancarlo Elia Valori

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Ambiente, Comunicati Stampa, News

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Pubblicato il giorno 02 luglio 2012 - Nessun commento



   


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“Lo scopo di questa mia iniziativa editoriale – spiega il professor Elia Valori – è quello di offrire ai lettori una prospettiva completa sulle ultime evoluzioni del concetto di acqua all’interno del sistema di valori capitalistico e su quanto “pesi” l’acqua a livello sociale, e non solo fisicamente, dato che un litro di “oro bianco” pesa più di un litro di petrolio”.

D. Perché l’acqua è un tema di grande attualità oggi?
R. Perché è un bene prezioso destinato a diventare una delle risorse strategiche principali dell’umanità. E la sua politica di controllo potrà influire sull’assetto economico e sociale, sui consumi, sulle politiche demografiche e, soprattutto, sulle possibilità di sviluppo delle popolazioni nelle aree a rischio. Il pericolo di contrasti diplomatici o di conflitti armati provocati dalla penuria di acqua, a seguito dell’aumento demografico, diverrà sempre più elevato.

D. Ritiene possibile, in futuro, lo scoppio di conflitti territoriali sul dominio dell’acqua?
R. L’acqua scarseggia e, se i governi non si convincono che si deve optare per uno sviluppo diverso, in futuro le risorse della terra sono destinate ad esaurirsi. Per rispondere più esaurientemente alla sua domanda faccio riferimento al professor Riccardo Petrella, autorevole Presidente del Comitato internazionale per il contratto mondiale dell’acqua, il quale ha sostenuto che “se, nei prossimi dieci o quindici anni, non verrà concertata un’efficace politica volta a garantire la fornitura dell’acqua in un quadro mondiale, il dominio dell’oro bianco provocherà innumerevoli conflitti territoriali e condurrà a rovinose battaglie economiche, industriali e commerciali”. Ed è ciò che già si sta verificando in alcune regioni del mondo, dove la scarsità di acqua potrebbe diventare quello che la crisi dei prezzi del petrolio è stata negli anni Settanta, una fonte importante di instabilità economica e politica. Basti pensare, ad esempio, che per l’approvvigionamento di acqua potabile quasi il 40% della popolazione mondiale dipende da sistemi fluviali, comuni a due o più Paesi: l’India e il Bangladesh, sul Gange; il Messico e gli Stati Uniti, sul Colorado; la Cecoslovacchia e l’Ungheria, sul Danubio.

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D. Lei ritiene che siamo al capolinea?
R. Se non si interviene, direi proprio di sì. E’ da molti anni che gli studiosi sostengono che le soluzioni per uno sviluppo sostenibile ci sono. Esistono e sono note.

D. Quali potrebbero essere i rimedi?
R. Innanzitutto bisogna creare un’autorità nazionale o comunitaria e, successivamente, di livello mondiale in seno all’ONU. Oltre alle soluzioni tecnologiche, occorre poi educare il pubblico e invertire una tendenza, perché in futuro la finanza privata mondiale sarà la proprietaria delle risorse terrestri di acqua. D’altra parte la scarsità delle risorse idriche riguarda quasi tutti i continenti e più del 40% della popolazione mondiale. Attualmente, già 1,6 miliardi di persone vivono in regioni o paesi caratterizzati da un’assoluta mancanza d’acqua; entro il 2025 due terzi della popolazione mondiale potrebbero vivere in aree caratterizzate da scarsità d’acqua. La ragione primaria è il consumo eccessivo per la produzione alimentare. La mancanza d’acqua limita la capacità degli agricoltori di produrre abbastanza cibo per il proprio sostentamento o per guadagnarsi da vivere. Ad esempio, Asia meridionale, Asia orientale e Medio Oriente stanno per toccare o superare i limiti delle rispettive risorse idriche, e con una popolazione in continua crescita. In alcune aree del Nord America la produzione alimentare risulta già insostenibile, a causa dell’impoverimento delle falde freatiche.

D. La concorrenza per l’acqua è quindi in aumento?
R. Con l’aumento demografico e lo sviluppo economico, la domanda d’acqua delle città e delle industrie sta crescendo molto più rapidamente di quella dell’agricoltura. Considerando solo l’agricoltura, la concorrenza per le risorse idriche riguarda già alimenti di base, allevamenti, pesca nelle acque interne, acquacoltura e colture non alimentari (destinate alla produzione di fibre e bioenergia). Gli utilizzi mettono, inoltre, in concorrenza acqua potabile, misure igienico-sanitarie, produzione idroelettrica e attività per il tempo libero. Tutti questi impieghi possono entrare in concorrenza reciproca ed alcuni essere considerati prioritari rispetto al cibo. La sovrapposizione fra popolazioni urbane in rapida espansione e irrigazione all’interno dello stesso bacino idrografico è già fonte di grande conflitto, con gli agricoltori obbligati a limitare l’utilizzo d’acqua. Tutti gli impieghi delle risorse idriche devono essere gestiti in modo coordinato ed integrato, soprattutto per difendere gli interessi dei poveri e di altri gruppi vulnerabili, in particolare le donne, che sono le prime a perdere l’accesso all’acqua quando la concorrenza aumenta.

D. Lei ha fatto riferimento all’aumento della domanda dell’acqua per l’agricoltura, come si può intervenire per economizzare questo bene?
R. Un esempio concreto su cui si può e si deve intervenire è la filiera agricola, dove si possono modificare i sistemi di irrigazione e far sì che vengano utilizzati sistemi a tutti noti che consumano certamente meno acqua di ciò che si fa adesso. Così come si deve assolutamente proibire la produzione di colture per le energie. Tutti sanno che per ogni litro di biocarburante si consumano 3mila litri di acqua dolce. Sono proprio questi i parametri. Insomma tutto si può fare e le soluzioni per evitare gli effetti dannosi dei cambiamenti climatici nel pianeta ci sono.

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D. Lei ha indicato anche soluzioni tecnologiche, quali possono essere ?
R. Tra le tante vi sono anche quelle più semplici, a basso impatto ambientale, a basso costo, facilmente gestibili dalle comunità. Sono tecnologie che permettono alle popolazioni più povere di avere accesso alle risorse naturali e che consentono, grazie alle loro caratteristiche, la tutela dei beni comuni naturali: metodi semplici per la perforazione dei pozzi, raccolta della nebbia, pompe a pedali e pompe manuali per l’approvvigionamento idrico, la raccolta dell’acqua piovana, il recupero delle sorgenti, semplici metodi per la depurazione dell’acqua al punto d’uso (filtro in ceramica, filtro a sabbia, filtro in tessuto, disinfezione e distillazione solare).

D. Lei ha detto che per il fabbisogno dell’acqua potabile il 40% della popolazione mondiale dipende da sistemi fluviali. A quali Paesi si riferisce?
R. Una zona calda emergente è l’Asia centrale, dove 5 ex repubbliche sovietiche, da poco indipendenti, si dividono due fiumi già troppo sfruttati, l’Amu Darja e il Sjr Darja. Ma è soprattutto nel Medio Oriente che le dispute sull’acqua stanno modellando gli scenari politici e i futuri economici. L’Egitto è un esempio dei dilemmi e delle incertezze che devono affrontare i Paesi con una rapida crescita demografica e fonti di approvvigionamento idrico molto limitate sul proprio territorio nazionale. In Egitto 56 milioni di persone dipendono quasi interamente dalle acque del Nilo, ma le origini del fiume non si trovano all’interno dei confini del paese: l’85% di questo fiume è generato dalle piogge in Etiopia e scorre come Nilo Azzurro nel Sudan prima di entrare in Egitto. La parte restante dipende dal sistema del Nilo Bianco, che ha le sue sorgenti nel lago Vittoria, in Tanzania, e si congiunge al Nilo Azzurro nei pressi di Khartoum. Per soddisfare il suo fabbisogno l’Egitto integra l’acqua del Nilo con piccole quantità di acque freatiche, con l’acqua del drenaggio agricolo e con acque di scolo municipali trattate. Nel 1990, l’Egitto ha avuto una disponibilità di 63,5 miliardi di metri cubi di acqua. Sfortunatamente, anche secondo le proiezioni più modeste la domanda idrica egiziana salirà a 69,4 miliardi di metri cubi per la fine del decennio. Dal recupero dell’acqua dei fiumi e dei laghi nasce l’importanza della realizzazione della grande diga di Karakaya sul fiume Firat-Eufrate, lungo ben 2930 chilometri. Questo progetto, di vasta portata, fu realizzato, negli anni ’80, dal Gruppo Italstrade SpA, di cui ero il direttore generale. Si tratta di un’imponente struttura costruita dal consorzio Italstrade-Recchi, a seguito di lungimiranti strategie politiche e di un’efficace attività di cooperazione tra i vertici dell’allora ministero delle opere idrauliche della Turchia e il nostro governo, di cui Amintore Fanfani era premier e Giulio Andreotti ministro degli esteri.

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