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Lentamente molte aziende stanno iniziando a ridurre o ad eliminare le proprie sostanze pericolose dai propri cicli produttivi, soprattutto il dato conferma questa riduzione come modo per risparmiare denaro, ridurre le inefficienze e promuovere il proprio marchio “green” verso i consumatori che favoriscono questi eco-prodotti. “E’ giunto il momento che l’industria veda realmente il valore di di una chimica sostenibile“, ha affermato Julie Haack, assistente al Dipartimento di Chimica dell’Oregon University. “Dobbiamo puntare a soluzioni innovative, sostenibili e a lungo termine”, continua Neil Hawkins della Dow Chemical. “E’ venuto il momento infatti di capire quando sia importante per noi condurre ricerche migliori e con i più brillanti studenti nel campo della scienza e della tecnologia, ma che abbiamo anche e soprattutto una prospettiva più ampia. Questo significa equilibrio nelle decisioni ambientali, sociali ed economiche”.
Molte università stanno rispondendo al nuovo percorso della chimica sostenibile con la creazione di un ricercatori con un “curriculum verde”. I loro sforzi richiedono infatti di affrontare un ambito richiesto dalla chimica sostenibile ossia affrontare una mancanza di formazione in tossicologia. “Gli studenti possono facilmente ottenere un dottorato in chimica in quasi tutte le università del paese (gli USA si intende N.d.T.) ma non sono tenuti a dimostrare una qualche conoscenza di base in tossicologia o ambiti affini, come progettare una molecola che non perturbi il sistema endocrino umano o animale in qualche modo”, afferma Michael Wilson, assistente ricercatore presso la Berkeley University of California. Ma gli studenti, i docenti e l’industria chimica sta iniziando a cambiare la situazione e la direzione, puntando e spingendo per programmi e corsi che tengono conto di principi ecologici e sostenibili.
L’Università degli Studi dell’Oregon, ha avviato un programma a vasto raggio già nove anni fa, che grazie a docenti competenti a livello nazionale integrano nel curriculum base degli studenti principi di chimica sostenibile comprendendo materie tra cui etica, marketing e politiche per lo sviluppo.. Haack ha affermato che tale sforzo ha spinto la domanda per accedere a questi corsi di chimica sostenibile a livello nazionale, portando a cambiamenti nel modo in cui studenti e docenti applicano il proprio approccio alla chimica. Ora scuole e università sono ansiosi di toccare concretamente con mano questo entusiasmo in ambito scientifico, proprio per rivitalizzare l’interesse per la scienza e la chimica. L’università ha anche realizzato un database on-line che raccoglie materiali educativi incentrati sulla chimica sostenibile e permette a professori e alle altre parti interessate di condividere idee e domande sulle tecniche di insegnamento e di studi in questo campo. Il database attualmente annovera 240 professionisti provenienti da tutto il paese che hanno espresso interesse professionale nel settore della chimica sostenibile.
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Alcuni vedono la chimica sostenibile come uno strumento multidisciplinare per attraversare le linee tra le diverse discipline accademiche che possono riguardare diversi corsi universitari. “C’è stata troppa frammentazione nelle università”, spiega Paul Anastas, direttore del Center for Green Chemistry and Green Engineering dell’Università di Yale. “Ora la prospettiva sta cambiando e si punta ad abbattere muri”. “Multinazionali come la Dow Chemical sta lavorando per promuovere un approccio trasversale educativo”, spiega Hawkins. L’azienda nel 2007 ha avviato una collaborazione con la Berkeley, per creare un programma a livello universitario per affrontare una vasta gamma di questioni, a partire da come ampliare le forniture di acqua e misurare l’impatto ambientale dei propri prodotti e delle catene di approvvigionamento.
Le implicazioni di vasta portata della chimica sostenibile e di un design sostenibile, attraverso le diverse discipline e applicazioni, indicano che il settore ha un enorme potenziale di crescita. “Ora la chimica sostenibile con le sue applicazioni costituisce circa l’1% del totale della quota di mercato dei prodotti chimici”, stima e conclude Anastas.
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