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È diventato famoso a livello internazionale per i suoi studi sulle ragnatele, a cui «Nature» lo scorso febbraio ha dedicato la copertina. Nicola Pugno, professore del dipartimento di Ingegneria strutturale e geotecnica al Politecnico di Torino, nonché studioso di biomateriali è stato tra i relatori della decima edizione del “Festival della scienza” che si è tenuto a Genova, che quest’anno aveva come tema l’Immaginazione, come coraggio di intraprendere nuove sfide, ma anche capacità di immaginare sempre nuovi orizzonti.
Più che immaginata, però, la ricerca di Pugno è bioispirata. Oltre a comprendere il comportamento meccanico della tela del ragno e alle sue possibili applicazioni in campo ingegneristico, il ricercatore studia anche gli effetti adesivi del geco, quelli autopulenti della foglia di loto e quelli iperresistenti del grafene. «Ho semplificato la mia ricerca definendola “i Fantastici quattro”, nel senso che ognuno di questi biomateriali ha caratteristiche uniche, da record e che si ispirano alla natura». La vera sfida è riuscire a trasferire le caratteristiche “fantastiche” della nanoscienza a livello macroscopico.
Sinergia fra Materiale e Struttura
«Il fil rouge di queste ricerche – precisa – sono proprio gli effetti di scala, cioè portare su grande scala caratteristiche che si ritrovano su scala molto piccola. E i materiali naturali sono perfetti da questo punto di vista, perché quando vengono portati a un “livello” superiore perdono le loro proprietà. La nostra ricerca ha lo scopo di mitigare tali effetti». Ma c’è di più. Altre cose che si osservano in natura, e quasi mai in campo ingegneristico, si basano su tre concetti fondamentali, e cioè sinergia tra materiale e struttura, gerarchie geometriche e competizione tra adesione e facilità al distacco che Pugno ha intenzione di sfruttare. Qualche esempio: se si riuscisse a costruire un edificio come il ragno costruisce la sua ragnatela, nel caso di impatto con un aereo, la struttura non collasserebbe perché il materiale iperelastico, molto comune in biologia, è dato dalla sinergia tra materiale e struttura. Il geco riesce a controllare la forza del distacco perché non c’è nessuna competizione tra adesione e facilità a distaccarsi. Capacità che è duratura e reversibile nel tempo.
Un Percorso che Passa dal Biomedicale
Le ricerche di Pugno abbracciano anche il campo biomedicale. «Pensiamo ai nanovettori per il trasporto mirato di farmaci, il rilascio intelligente – spiega –. In origine erano stati progettati con caratteristiche rigide, invece come insegna la natura, vedi per esempio i globuli rossi, la flessibilità è indispensabile. Stiamo per questo studiando nanovettori basati su nanoscroll di grafene. In pratica, anziché piegare il foglio di grafene a cilindro e avere quindi un nanotubo, lo si piega a spirale formando una struttura a parete multipla. Se a questa forma applichiamo un campo elettrico siamo in grado di modificare le interazioni tra le diverse pareti con la possibilità di aprirlo o chiuderlo in remoto».
Sempre in campo biomedicale si stanno studiando materiali self-healing, cioè in grado di autoripararsi. «Siamo agli albori e siamo concentrati sugli aspetti meccanici, allo scopo di arrivare ad avere materiali spugnosi che siano sufficientemente porosi e contemporaneamente resistenti, come sono le ossa. Anche in questo caso si tratta di progettare scaffold “gerarchici”, caratteristica intrinseca dei materiali naturali. Questo significa progettare materiali con una legge costitutiva comparabile al tessuto che vogliamo riprodurre. Per far questo occorre conoscere le caratteristiche del tessuto a tutte le scale, a tutti i livelli di gerarchia. Un tendine per esempio è composto da moltissimi livelli di gerarchia, come un cavo della funivia».
E pensare che la sua passione per la scienza è nata solo negli anni dell’università «e che di pari passo è cresciuta con quella per la montagna» confessa. Così, mettendo a sistema questi due interessi, si è appassionato di natura «che poi è sfociata in un particolare filone di ricerca, bioispirata appunto». E che lo ha spinto, dopo una laurea in ingegneria meccanica, a iscriversi anche a fisica (con un indirizzo in astrofisica) e ora al secondo dottorato in biologia dei ragni (il primo è stato in ingegneria delle fratture) per comprendere sempre di più e meglio lo stato vivente della materia. «Questa sete di conoscenza – conclude – è la stessa che mi porta a improvvisare percorsi in montagna “perdendomi” fino all’imbrunire. Perché mi piace esplorare, osservare, capire, consapevole che tutto ciò che ci sta attorno è comunque misterioso».
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