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È una progressione che sembra ormai senza freni. Anche la settimana scorsa la produzione di petrolio negli Stati Uniti è aumentata, raggiungendo il massimo dal 1993: 7 milioni di barili al giorno tondi tondi, che Washington stima saliranno ancora, alleviando sempre di più la dipendenza dalle forniture dall’estero.
Nello Short-Term Energy Outlook il dipartimento per l’Energia (Doe) prevede che già l’anno prossimo gli Usa ridurranno le importazioni nette di greggio a 6 mbg, la quantità più bassa da un quarto di secolo e la metà rispetto ai 12 mbg e più del 2004-2007 (nel 2012 la media è stata di 8,5 mbg). Un risultato eccezionale, che è frutto della moderazione nella crescita dei consumi – che nel 2014, nonostante la ripresa dell’economia, resteranno inferiori al 2011- ma soprattutto è legata al boom della produzione locale: nel 2014 dai pozzi americani sgorgheranno quasi 8 mbg di greggio, 23% rispetto alla media 2012, e quest’anno ci sarà un balzo di circa 900 mila barili al giorno (a 7,32 mbg), l’incremento più forte dalla scoperta del petrolio negli Usa. Il merito è dello shale oil: il greggio racchiuso in rocce argillose, che viene oggi estratto in quantità inimmaginabili fino a pochi anni fa, grazie alle tecniche di perforazione orizzontale e al “fracking”, l’iniezione di fluidi ad altissima pressione.
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