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Lo status attuale
Il mondo cripto, ed in particolare Bitcoin, in tutto il 2017 ha vissuto momenti di pura frenesia. Non solo bitcoin, ma i prezzi di quasi tutte le principali criptovalute (vedi ad esempio il prezzo di Litecoin) hanno subito rialzi forsennati guidati dall’esplosione dell’attenzione dei media e del pubblico per questa nuova realtà.
Oltre ai dubbi e alle perplessità sull’aumentare vertiginoso dei prezzi, Bitcoin e le altre principali criptovalute hanno cominciato a porre dubbi di altra natura.
Uno tra tutti, la sostenibilità energetica di questa tecnologia e dei network che la rendono possibile.
Da dove nasce il problema?
L’origine del problema scaturisce direttamente dalla natura tecnologica delle criptovalute, vale a dire la tecnologia blockchain.
Per evitare la presenza di un’autorità centrale che debba validare le transazioni, queste vengono validate da una rete di cosiddetti miners che processano i blocchi necessari per l’esecuzione delle operazioni in cambio di un riconoscimento in termini di coin.
Processare o minare un blocco significa risolvere complicatissimi problemi computazionali, problemi che possono essere gestiti e risolti solamente da potentissimi computer. Oggi neanche un computer potente è più sufficiente, ma è necessaria un’intera farm.
Tutto questo, come è facile immaginare, consuma un grandissimo quantitativo di elettricità.
Alcuni numeri per capire il consumo energetico di Bitcoin
Per capire meglio di che livello di consumi stiamo parlando possiamo fare alcuni esempi presi da una ricerca condotta da digiconomist e pubblicata lo scorso dicembre.
Per ogni transazione bitcoin sono necessari circa 215 kWh (Kilowattora).
Con lo stesso quantitativo di energia è possibile alimentare un’intera casa per una settimana, o circa 8,5 case e mezzo per un giorno intero.
Se combiniamo poi Bitcoin ed Ethereum (il secondo blockchain network per grandezza), il consumo annuale stimato è di circa 42.67 TWh (Terawattora).
Considerate quindi il fatto che mediamente vengono eseguite 300.000 transazioni bitcoin ogni giorno.
Per fare un paragone, il consumo annuale dell’Irlanda è di circa 25 TWh.
Per concludere, dalla pubblicazione di queste ricerche lo scorso dicembre le cose non sono certo migliorate. Oggi il consumo annuale stimato di Bitcoin è di 60 TWh.
Cosa aspettarci dal futuro
Una situazione come quella descritta dai numeri appena visti ha chiaramente fatto sorgere diversi dubbi sulla sostenibilità di una tecnologia del genere.
Se consideriamo che la maggior parte delle mining farm sono in Cina, paese che ricava larga parte della sua energia dai combustibili fossili, il problema diventa ancora più critico.
Alcune strade sono già state intraprese da alcune aziende.
La prima è quella dell’utilizzo delle energie rinnovabili per ricavare direttamente quella necessaria al lavoro dei super computer per il mining. Alcune aziende hanno cominciato ad usare l’energia solare e quella eolica. Altre addirittura con la produzione idroelettrica.
Dall’altro lato, più che sul problema del reperimento dell’energia necessaria, si sta cercando di porre grande attenzione all’ottimizzazione del consumo per transazione.
In sostanza, sono in molti a lavorare per modificare il sistema di validazione delle transazioni in modo da consentirne un numero maggiore nello stesso tempo e con un minore consumo elettrico. Una delle soluzioni più interessanti è sicuramente quella del Lightning Network, tecnologia che si propone appunto di risolvere il problema della scalabilità dei blockchain network come appunto bitcoin.
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