Bisfenolo A e Inquinanti Organici Persistenti: Tossicità Confermata e Prime Prese di Posizione Oltreoceano

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Alimentazione, Ambiente, Zoom

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Pubblicato il giorno 21 gennaio 2010 - Nessun commento



   


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Nuovi studi stanno confermando come le numerose sostanze tossiche di cui siamo circondati e a cui siamo sottoposti quotidianamente provochino danni irrimediabili anche e soprattutto a medio e lungo termine.  Partiamo dall’innalzamento di sostanze tossiche come il BPA riscontrate nelle urine umane che confermerebbero un maggiore rischio di malattie cardiovascolari. Così il Bisfenolo A o BPA, presente SOLO nel POLICABONATO (ISS) è stato collegato all’aumento al rischio di malattie cardiache. Un altro studio intanto conferma che l’esposizione ad agenti inquinanti ed alcune sostanze chimiche aumenta l’obesità. Queste sostanze pericolose presenti in numerosi cibi grassi possono essere una vera condanna per quelle persone che soffrono di problemi metabolici.

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MALATTIE CARDIACHE, ORMONI E BPA

“Disfarsi di biberon graffiati e tazze di plastica consumate immediatamente. Non mettere liquidi caldi in contenitori di plastica per bambini. Più importante, allattare al seno i neonati, se possibile”, questo il monito preoccupante lanciato dai ricercatori dal Dipartimento per la Salute Pubblica statunitense in risposta alle crescenti preoccupazioni che riguardano il BPA. Così un nuovo studio condotto dall’US Centers for Disease Control and Prevention (CDC) collega le malattie cardiache al deposito nel nostro corpo della pericolosa sostanza. “La nostra analisi, è stato giustamente trattata con cautela essendo la prima, ma è stata la prima relazione a dimostrare questo interessante collegamento,” afferma l’epidemiologo Richard Melzer della Peninsula Medical School in Inghilterra, autore di entrambi gli studi. “Le associazioni fra sostanze chimiche e malattie cardiache sono chiaramente presenti e quest’ultima con il Bisfenolo A ne è l’ultima dimostrazione”.

Analizzando i risultati di urine raccolti, da 2.605 soggetti americani di tutte le età, i ricercatori hanno riscontrato elevati livelli di Bisfenolo A (BPA) associati a malattie coronariche. Circa il 10% degli uomini di più di 60 anni, nei quali sono state riscontrate alte concentrazioni di BPA hanno sviluppato malattie cardiovascolare rispetto a circa il 7% degli uomini della stessa età con più basse concentrazioni di BPA, una differenza che è risultata ai ricercatori statisticamente significativa. ”Data la preoccupazione evidente che il Bisfenolo A può avere effetti  su questa patologia, ora abbiamo bisogno di chiarire il meccanismo che sta dietro questa associazione”, continua Melzer.

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BISFENOLO A: LA PREOCCUPAZIONE SALE

Già alcuni studi del 2009 dell’Environmental Health Perspectives, dimostravano la pericolosità del BPA nei processi cellulari e nel sistema endocrino, per la produzione di un particolare ormone (adiponectina) rilasciato dalle cellule adipose e che controlla i livelli di zucchero nel sangue. “La diminuzione di adiponectina, potrebbe così causare un aumento delle malattie cardiache”, spiega Richard Stahlhut della University of Rochester Medical Center.”Quindi questo potrebbe essere vero se i nuovi studi sono esatti”.

Il BPA è una componente comune nelle materie plastiche di “tipo 3(PC, PVC che possono contenere Bisfenolo A come antiossidante nei plastificanti), o meglio in prodotti come biberon, attrezzature sportive, lenti per occhiali da vista e dispositivi medici per dentisti. Il composto è usato anche per produrre resine epossidiche per confezioni alimentari e bibite. Più di un milione di tonnellate di polimero viene prodotto solo negli Stati Uniti ogni anno. L’esposizione umana è il risultato di un mangiare o bere cibi contaminati e che hanno assorbito il Bisfenolo A dai contenitori di plastica e dai loro rivestimenti. Non è ancora chiaro quanto tempo il BPA rimanga nel corpo umano, ma la nuova ricerca ha rilevato che almeno dopo 24 ore di digiuno è possibile trovarne facilmente traccia nelle urine. Per ora, gli scienziati con le preoccupazioni circa il BPA raccomandano di evitare di usare prodotti che ne derivino per uso alimentare come sacchetti in plastica in policarbonato chiaro o colorato e cibi in scatola, come le zuppe.

“Raccomandiamo un certo modo di alimentazione, soprattutto ai neonati per ridurre al minimo l’esposizione al BPA. Gli studi ormai lo confermano. Il BPA è legato a cambiamenti comportamentali, obesità, diabete, disordini riproduttivi, alcuni tipi di cancro, asma, malattie cardiovascolari. Ma non è finita, gli effetti sulla salute possono passare da una generazione a quella successiva”, conclude Linda Birnbaum, direttore del National Institute of Environmental Health Sciences. Molti grandi produttori affermano di aver rimosso il BPA dai loro prodotti. Ma effettivamente non vi è alcun obbligo normativo di riferire sulla chimica delle plastiche alimentari in quanto sono considerate sicure in base al diritto vigente. “Ci sono circa da due a quattro miliardi di chilogrammi di BPA messi in commercio in una gamma ampissima di prodotti ogni anno”.

Negli USA l’FDA ha siglato partnership con le aziende per sviluppare alternative al BPA per usi specifici. I giapponesi ci hanno pensato prima e hanno vietato l’utilizzo di BPA in qualsiasi sostanza plastica a partire dal 1999. Mentre numerosi produttori assicurano di non utilizzare BPA per i prodotti per neonati, se non in quantità scarsissime, nella propria valutazione del rischio relativa al BPA pubblicata nel gennaio 2007 l’EFSA ha fissato per questa sostanza una dose giornaliera tollerabile (DGT) di 0,05 milligrammi/chilogrammo di peso corporeo. E il 15 ottobre 2009 l’EFSA ha ricevuto dalla Commissione europea una richiesta di valutare l’importanza di un nuovo studio sui possibili danni neuroevolutivi del BPA e, se necessario, di aggiornare l’attuale DGT (dose giornaliera tollerabile) di conseguenza. Lo studio in questione è stato commissionato dall’American Chemistry Council in risposta ai timori sulla sicurezza della sostanza, sollevati dal governo canadese, che ha introdotto norme per mettere al bando l’uso del policarbonato nei biberon. L’EFSA intende concludere la propria valutazione entro maggio 2010, in linea con la scadenza fissata dalla Commissione.

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POP, INSULINA E OBESITÀ

I ricercatori hanno per la prima volta trovato un collegamento tra l’esposizione ad alcune sostanze chimiche in particolare l’esposizione agli inquinanti organici persistenti (POP) e le insulinopatie, Un problema che sta aumentando in tutto il mondo ed in qualsiasi cultura. Più del 25% degli adulti americani soffrono di alcune malattie derivanti da problemi metabolici derivanti da insulinopatie, queste hanno sintomi che comprendono facile affaticamento, obesità e difficoltà che regolano i livelli ematici di grassi e zuccheri. I ricercatori hanno notato che nutrendo ratti con una dieta molto ricca di oli di pesce raffinati e alcune specie di pesce come il salmone d’allevamento (tutti alimenti che contengono diversi tipi di inquinanti nella propria carne come gli inquinanti organici persistenti, derivanti da petrolio).

I topi esposti a queste sostanze hanno mostrato consistenti problemi di regolazione del grasso corporeo dovuti ad insulinopatie. Il problema è stato trasferito agli esseri umani che hanno mostrato gli stessi sintomi in corrispondenza di una dieta paragonabile. I ricercatori hanno affermato che i propri risultati forniscono ormai prove inconfutabili di una relazione causale tra l’esposizione di inquinanti POP nella catena alimentare e le insulinopatie negli esseri umani e intendono sottolineare la necessità di comprendere le interazioni degli inquinanti organici persistenti depositati anche nei grassi contenenti da latticini e carne.

Trattare i POP è particolarmente impegnativo, perché persistono nell’ambiente per lunghi periodi e possono accumularsi nei tessuti grassi degli animali. La Convenzione di Stoccolma del 2001, firmata ma non ratificata, elencava sostanze pericolose come i POP presenti nella catena alimentare. Un trattato che spiegano i ricercatori rafforza la necessità di disporre di accordi internazionali finalizzati a limitare l’emissione di inquinanti organici persistenti nell’ambiente, nel tentativo di proteggere la salute pubblica.

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