Un Casa Sostenibile? Costruitevela! [PT. 2] Dall’Autocostruzione al CoHousing, Vecchie e Nuove Esperienze Contro un Mercato Immobiliare alla Deriva

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Ambiente, Bioarchitettura, Zoom

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Un Casa Sostenibile? Costruitevela! [PT. 2] Dall’Autocostruzione al CoHousing, Vecchie e Nuove Esperienze Contro un Mercato Immobiliare alla Deriva

Pubblicato il giorno 17 febbraio 2009 - Nessun commento



   


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Articolo di Pietro Reitano tratto dal numero 76 della rivista Altraeconomia: L’informazione per agire

[ Un Casa Sostenibile? Costruitevela! [PT. 1] Dall’Autocostruzione al CoHousing, Vecchie e Nuove Esperienze Contro un Mercato Immobiliare alla Deriva ]

Il futuro delle città è una sala da pranzo condivisa. Lo pensa nel 1964 l’architetto danese Jan Gudmand-Høyer, quando con un gruppo di amici si chiede come riprodurre in città i benefici tipici del villaggio: una comunità unita, spazi condivisi e disponibilità di tempo gli uni verso gli altri. È il primo esperimento di cohousing, o co-residenza, e da allora l’esperienza è stata replicata in tutto il mondo e ormai coinvolge migliaia di persone, soprattutto in Scandinavia, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone.

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L’essenza del cohousing sta nella volontà di un gruppo di persone di scegliersi (vicinato elettivo) per dar vita a una “comunità urbana”, e per progettare in maniera partecipata il complesso dove andrà ad abitare. Ogni famiglia ha la propria casa, ma nell’insediamento abitativo sono previsti spazi e servizi condivisi da tutti, decisi dalla comunità stessa. Di solito si tratta di gruppi di una trentina di famiglie, con spazi comuni che arrivano fino al 20% della superficie totale del complesso abitativo. Gli spazi e i servizi condivisi sono tipicamente uno spazio multifunzionale, magari con la cucina, dove mangiare tutti insieme, oppure una lavanderia comune o una sala per gli attrezzi a disposizione della comunità, o anche una stanza per i bambini che in alcuni casi può diventare un vero e proprio asilo. Spesso esiste un magazzino/dispensa per organizzare gruppi di acquisto e fare la spesa insieme. La condivisione di spazi e servizi, oltre che la socialità tra i vicini di casa, permette un risparmio per ciascuna famiglia sul budget per la casa, anche fino al 15%.

Ma è impossibile codificare con precisione: ogni cohousing è uguale solo a se stesso. “Il cohousing è un modello particolare di comunità urbana” spiega Matthieu Lietaert, ricercatore all’European University Institute di Fiesole (Firenze) e studioso del fenomeno del “vicinato elettivo”, sul quale sta realizzando un libro e un documentario (sono sue le foto di queste pagine; per informazioni documentario_cohousing@yahoo.it). “Il modello prevalente è quello danese, codificato -anche attraverso libri di successo- dall’esperienza americana. Ma ce ne sono anche altri tipi. Esistono caratteristiche che si incontrano più spesso di altre. Ad esempio di solito gli insediamenti si trovano in periferia, o appena fuori dalle città. E sono fatti per abitarci, e non per lavorarci. Sono gruppi che non si creano in base a una particolare ideologia o credo religioso; il più delle volte parliamo di ceto medio, o comunque di famiglie che possono permettersi l’acquisto della casa a prezzi di mercato.

Non mancano quasi mai una cucina condivisa e la sala da pranzo dove mangiare tutti insieme, che anzi è forse un aspetto fondamentale del successo di un cohousing, come gli spazi verdi e quelli per i bambini. Ma l’utilizzo degli spazi è flessibile, e segue l’evolversi della comunità. Si tengono riunioni periodiche per prendere le decisioni, a volte si formano gruppi di lavoro e di solito una specie di ‘comitato centrale’ di cinque persone per l’amministrazione generale. Le votazioni avvengono a maggioranza, ma in molti casi si utilizza il metodo del consenso. E non è detto che qualcuno non decida a un certo punto di andarsene”. Esistono alcune varianti al modello prevalente. In alcuni casi l’insediamento è lontano dalla città (e porta con sé anche esperimenti di autocostruzioni) oppure è più forte l’intervento pubblico, come in Svezia e in Olanda dove è l’amministrazione locale a fare il progetto, trovare il terreno su cui costruire e scegliere i destinatari. Una risposta a un’esigenza sociale che abbassa i costi della casa ma riduce la possibilità di un gruppo forte.

Ormai nel mondo le co-residenze sono oltre un migliaio, per almeno 130 mila persone coinvolte. In California il 10% delle nuove costruzioni è progettato per il cohousing. Da quest’anno l’esperienza è arrivata anche in Italia. Tre progetti abitativi, due a Milano (quartiere Bovisa) e hinterland (Abbiategrasso), uno a Calambrone, provincia di Pisa, e un esperimento di uffici in condivisione, sempre a Milano (a Lambrate). Sono un centinaio le unità abitative previste, ma gli interessati sono oltre 3.500, l’80% dei quali a Milano (altre info: www.cohousing.it). I promotori dell’esperienza italiana sono il Dipartimento Indaco del Politecnico di Milano (www.indaco.polimi.it) e la società Innosense, sempre di Milano. Il Politecnico ha studiato il fenomeno e messo a punto gli strumenti attraverso i quali si formeranno le comunità di co-residenti, un processo che va dai 6 ai 9 mesi e che comprende la scelta di come destinare gli spazi condivisi. A Innosense spetta la responsabilità imprenditoriale dell’iniziativa: trovare l’area dove costruire o il complesso da ristrutturare, realizzare il progetto, raccogliere le manifestazioni di interesse, trovare l’impresa che realizzi i lavori e poi venda le case. Gli spazi comuni copriranno mediamente il 12/15%. È un’iniziativa profit e non c’è nessun intervento pubblico: gli appartamenti vengono consegnati a prezzi di mercato, 3 mila euro al metro quadro circa. Anche la voglia di socialità ha un costo.

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Sono centinaia le esperienze di cohousing all’estero. Una rapida carrellata inizia in Europa. Il Gemeenschappelijk wonen project è a Nieuwegein, nei Paesi Bassi. È il più grande progetto di coabitazione: 190 persone, 26 case condivise (stanze in comune per studiare, lavorare, dormire) e 21 appartamenti, un ristorante, un negozio dell’usato, giardini e spazi per praticare sport, un pub aperto fino all’una di notte (www.gwwebsite.com). A Londra si trova invece l’Older women’s CoHo, dedicato alle signore anziane, (www.cohousing.org.uk), mentre Roskilde, in Danimarca, ospita l’Ibsgaarden cohousing project, un villaggio di 21 appartamenti e una grande casa condivisa, dalla costruzione di tipo tradizionale (www.ibsgaarden.dk).

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Anche fuori dal Vecchio Continente, dove è nato, il cohousing ha avuto successo. Si parte dal Canada, al Quayside Village di Lower Lonsdale, non lontano da Vancouver. È una palazzina dotata di un cortile interno, un piccolo orto comune, un’area per il compostaggio, uffici, stanze per gli ospiti, sale da pranzo condivise (www.cohousing.ca/cohsng4/quayside). Tutte le comunità canadesi si trovano qui www.cohousing.ca. Quelle statunitensi, invece, qui: www.cohousing.org, ed ecco, di seguito, qualche esempio.

In California da segnalare lo Swan’s Market di Oakland, realizzato in un ex-mercato ristrutturato che ospita 22 unità di abitazione con una sala e una cucina per incontri, una palestra, una hobby room, una lavanderia e una stanza per gli ospiti (www.swansway.com). A un’ora da San Francisco, sempre in California, c’è Cotati (spazi condivisi: una lavanderia, sale per gli incontri e quattro negozi: www.cotaticohousing.org). Nello stesso Stato, ma a Emeryville, c’è poi il cohousing di Doyle Street, un vecchio capannone industriale in un quartiere periferico, vicino alla famosa università di Berkeley, trasformato e riadattato A Silver Spring, nello Stato di Washington, si trova l’Eastern village Cohousing: 56 unità di condomini che variano dai 50 ai 180 metri quadrati, fra Washington e Silver Spring, una comunità urbana che condivide stanze per lo yoga, spazi gioco e biblioteche, una grande sala per cenare insieme, terrazze ricche di verde (www.easternvillage.org). Dall’altra parte del mondo, a Hamilton Hill, c’è la Pinakarri Community, il primo cohousing australiano, che punta sulle forme di utilizzo dell’energia solare passiva, sullo sviluppo di coltivazioni in permacultura, sul compostaggio dei rifiuti, sull’utilizzo di energie rinnovabili: www.pinakarri.org.au

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