Verso un Modello di Sviluppo Economico Sostenibile, Bio‐Ispirato e Rigenerativo

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Ambiente, Bioeconomia, Green Economy, News, Zoom

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Pubblicato il giorno 27 ottobre 2011 - Nessun commento



   


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Lucia Pietroni pubblicato in “Op. cit.” n. 141, Electa Napoli

È, in primo luogo, dall’ambito delle discipline economiche che si hanno alcuni importanti contributi teorici su un modello di sviluppo economico sostenibile e “rigenerativo”, basato su modelli biologici, ispirato ai principi e alle strategie evolutive e virtuose della natura e, pertanto, capace di ridurre drasticamente il consumo di risorse ambientali, di ottimizzare l’utilizzo delle risorse ancora disponibili, di mantenere e rigenerare continuamente gli equilibri degli ecosistemi, considerando che la vita dell’uomo dipende dalla vita dei sistemi naturali.

Il Modello Economico del Capitalismo Naturale

Uno dei più significativi contributi è quello di Paul Hakwen, Amory Lovins, Hunter Lovins, che, nel loro famoso libro del 1999, propongono e descrivono un modello di “Capitalismo Naturale”(4), ovvero un modello economico che contabilizza e investe in “capitale naturale” e che si fonda sul concetto di “sostenibilità forte” (5).

Per attuare questo modello di sviluppo economico, come affermano gli autori, sono necessarie quattro radicali trasformazioni, nelle politiche di business delle organizzazioni, per continuare a prosperare e contemporaneamente migliorare le proprie performance ambientali e sociali. Tali trasformazioni, a cui corrispondono altrettante strategie, riguardano: l’incremento drastico della produttività delle risorse disponibili con una mentalità e un approccio sistemico e lo sviluppo di strategie molto più eco‐efficienti (6); il cambiamento radicale dei processi produttivi secondo modelli bio‐ispirati, che imitino le virtuosità e l’efficienza della natura, chiudendo il ciclo dei materiali, eliminando la produzione di rifiuti e di emissioni e minimizzando l’impiego di energia e di risorse ambientali; la transizione verso un modello di business che dia valore all’offerta continua di servizi piuttosto che alla vendita di prodotti, per fare più e meglio con meno; ed, infine, l’investimento continuo in capitale naturale, che è la base per la futura prosperità e per uno sviluppo realmente sostenibile.

Come affermano Hawken e i Lovins, il “Capitalismo Naturale” è alquanto differente dal capitalismo tradizionale che ha sempre trascurato il valore monetario delle risorse naturali e dei servizi forniti dagli ecosistemi, senza i quali non sarebbe possibile alcuna attività economica, oltre che la vita stessa. Il “Capitalismo Naturale”, al contrario, contabilizza le risorse naturali e punta all’efficienza per riuscire a produrre di più con meno. Ridisegna, inoltre, le logiche industriali sulla base di un modello biologico che esclude gli sprechi e la produzione di rifiuti e protegge, rigenera ed estende il capitale naturale esistente. Infatti, secondo gli autori, l’economia non può essere affidabile fino a quando il capitale naturale non sarà incluso nei bilanci. Un’economia sana ha bisogno di un bilancio preciso. È di vitale importanza comportarsi come se al capitale naturale e a quello umano fosse riconosciuto un valore. Inoltre, entro il prossimo secolo la popolazione raddoppierà e la disponibilità pro capite di servizi forniti dagli ecosistemi continua a diminuire a ritmo significativo.

Nessuno può prevedere quando la mancanza di una certa risorsa si verificherà, ma la scarsità di capitale naturale è al centro della scena. Infine, Hakwen e i Lovins concludono dicendo che, a prescindere dal futuro in cui si crede, integrare i principi del capitalismo naturale nella pianificazione creerà solide fondamenta per la società, anche se per molti la prospettiva di un sistema economico bio‐ispirato, in grado di eliminare il concetto di rifiuto e di reinvestire nei sistemi viventi, è ancora troppo ottimistica.

Dalla Green Economy alla Blue Economy o Green Economy 2.0

Un altro contributo fondamentale per un modello economico sostenibile ispirato ai modelli biologici è quello offerto da Gunter Pauli nel suo recente libro intitolato “Blue Economy” (7), dove descrive la necessità di una transizione dalla “Green Economy alla Blue Economy o Green Economy 2.0”.

La Green Economy è il risultato di grandi sforzi compiuti negli ultimi trent’anni in termini di sviluppo di processi e tecnologie pulite, di strumenti metodologici ed operativi per progettare e produrre in modo più sostenibile, ma senza riuscire a raggiungere i risultati auspicati. Oggi è necessario attuare un nuovo modello di sviluppo economico, la “Blue Economy”, un’economia che adotta tecnologie ispirate dal funzionamento della natura e che opera materialmente attraverso le strategie della “biomimesi”.

Diversamente dalla “Green Economy”, non richiede alle aziende di investire di più per salvaguardare l’ambiente. Anzi, con minore impiego di capitali è in grado di creare maggiori flussi di reddito e di costruire al tempo stesso capitale sociale. Come afferma Pauli, in natura non esistono disoccupati e neppure rifiuti. Tutti svolgono un compito e gli scarti degli uni diventano materia prima per altri, in un sistema “a cascata” in cui niente viene sprecato. In particolare, la “Blue Economy” deve basarsi sul primo principio della biomimesi, ovvero “il massimo rendimento con il minimo investimento”, in quanto, nell’attuale fase di crisi economico‐ ambientale, non è più possibile investire ingenti risorse finanziarie per risolvere i problemi ambientali.

Infatti è necessario affrontare le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione e tutela delle risorse naturali, spingendosi verso la “rigenerazione” del capitale naturale disponibile. C’è bisogno di un’economia che rigenera invece di esaurire, i cui prodotti siano concepiti per collaborare con i cicli vitali e non per distruggerli. Secondo Pauli, l’economia dovrebbe funzionare come la natura, dove non c’è nulla di superfluo e tutto quello che viene prodotto ha una sua funzione. Il che significa soddisfare i nostri bisogni con ciò che abbiamo: gli ecosistemi infatti funzionano con le risorse disponibili. Pertanto, gran parte dei problemi che ci affliggono sono già stati risolti dalla natura in modi eleganti, efficienti e, soprattutto, ecologicamente sostenibili. Si tratta di mutuare quelle soluzioni e adattarle alle necessità umane. La natura ha già provvisto a darci tutte le risposte. Non ci resta che cercarle.

In sintonia con il concetto di “economia rigenerativa” di Pauli, John Tackara parla di “economia restaurativa” (8), ovvero di un’economia che imita le pratiche efficienti della natura, capace di proporre modi di prosperare senza sovraccaricare i sistemi naturali e sociali; un modello di organizzazione socio‐ economica che parte dal presupposto di lavorare con quello che si possiede ora, dai beni che sono disponibili.

Inoltre, nel suo libro “Blue Economy”, Gunter Pauli raccoglie 100 esempi, realizzati, funzionanti e redditizi, di innovazioni ispirate dalla natura, selezionati in collaborazione con la biologa e scienziata Janine Benyus (9), uno dei più autorevoli esperti di Biomimesi. Attraverso questi esempi, Pauli intende sostenere e dimostrare la sua tesi, condivisa pienamente dalla Benyus con la quale collabora da molti anni: se da quasi 4 miliardi di anni, ogni cosa in natura si trasforma e viene riutilizzata per produrre qualcos’altro, e lo fa senza generare rifiuti o inquinare, questo è il modello a cui deve ispirarsi il sistema economico se vuol essere davvero sostenibile, duraturo e capace di futuro.

NOTE

4) P. Hawken, A. Lovins, H. Lovins, Natural Capitalism. Creating the Next Industrial Revolution, Little Brown & Co., Boston‐New York‐Londra, 1999 (trad. it. Capitalismo Naturale. La prossima rivoluzione industriale, Edizione Ambiente, Milano, 2001).

5) Per “sostenibilità forte” si intende la non sostituibilità del “capitale naturale” con il “capitale prodotto dall’uomo” per garantire alle generazioni future la possibilità di soddisfare i propri bisogni. Il “capitale naturale” include non solo tutte le risorse naturali, ma anche i processi biofisici e le relazioni tra componenti dell’ecosfera che garantiscono le condizioni indispensabili alla vita. Attualmente il ritmo di impoverimento delle risorse naturali e l’accelerazione del cambiamento globale portano a valutare che gli stock di capitale naturale attualmente disponibili siano già inadeguati per la stabilità ecologica a lungo termine. Molti studiosi ed esperti ritengono, dunque, che, in queste condizioni, la “sostenibilità forte” sia una condizione necessaria per uno sviluppo ecologicamente sostenibile. Questa condizione può realizzarsi solo se ogni generazione eredita una quantità di sistemi biofisici non inferiore a quella ereditata dalla generazione precedente. Cfr. M. Bresso, Per un’economia ecologica, NIS, Roma, 1993; W. Sachs, Planet Dialectis. Explorations in Environment and Development, Zed Books, Londra‐New York, 1999 (trad. it. Ambiente e giustizia sociale. I limiti della globalizzazione, Editori Riuniti, Roma, 2002); N. Marchettini, E. Tiezzi, Che cos’è lo sviluppo sostenibile? Le basi scientifiche e i guasti del pensiero unico, Donzelli Editore, Roma, 1999; M. Bonaiuti, La teoria bioeconomica. La nuova economia di N. Georgescu‐ Roegen, Carrocci, Roma, 2003.

6) Per un approfondimento sulla produttività e sull’efficienza delle risorse, cfr. G. Pauli, Breakthroughs. What Business Can Offer Society, Epsilon Press Limited, UK, 1996 (trad. it. Svolte epocali. Il business per un futuro migliore, Baldini&Castoldi, Milano, 1997); E. von Weizsächer, A. Lovins, H. Lovins, Factor Four: Doubling Wealth, Halving Resource Use, Earthscan Ltd., UK, 1998 (trad. it. Fattore 4. Come ridurre l’impatto ambientale moltiplicando per quattro l’efficienza della produzione, Edizioni Ambiente, Milano, 1998); F. Schmidt‐Bleek, P. Weaver, Factor 10: manifesto for a sustainable planet, Greenleaf Publishing, UK, 1998; E. von Weizsächer (et al.), Factor Five: Transforming the Global Economy through 80% Improvements in Resource Productivity, Earthscan Ltd., UK, 2009.

7) G. Pauli, The Blue Economy. 10 Years, 100 Innovations, 100 Million Jobs, Paradigm Publications, Taos, 2010 (trad. it. Blu Economy: 10 anni, 100 innovazioni. 100 milioni di lavori, Edizione Ambiente, Milano, 2010).

8 ) J. Thackara, From doomsday machine to clean growth economy, Conferenza a “Sustain/ability festival”, Treviso Design per un futuro sostenibile, Treviso, 2‐4 dicembre 2010.

9) Janine Benyus, biologa statunitense, che ha fondato, nel 1998, Biomimicry Guild, una società di consulenza per imprese, centri di ricerca, progettisti che intendono sviluppare progetti, prodotti, processi bio‐ispirati, e, nel 2005, Biomimicry Institute, un’associazione no‐profit la cui mission è la promozione e la divulgazione delle conoscenze sulla biomimesi. Considerata da molti uno dei principali studiosi dell’approccio biomimetico al design, la Benyus ha sviluppato numerosi strumenti metodologici ed operativi a supporto di una progettazione bio‐ispirata.

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