Architettura Sostenibile e Biomimesi: Il Futuro delle Città nel 2030? Ecco la Visione di Sarah Mohd Salleh, fra Funghi Giganti, Giardini Verticali e Autosufficienza Energetica

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Bioarchitettura, Smart City

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Pubblicato il giorno 03 febbraio 2009 - Nessun commento



   


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L’esplosione demografica oltre ad una rapida industrializzazione ha già colpito milioni di persone e le opinioni riguardo al futuro sembrano incoraggiare questo andamento. La terra non è in espansione e la sempre crescente popolazione dovrà continuamente combattere la scarsezza di terreni residenziali per non parlare dei terreni agricoli. Se la terra è scarsa, la risposta resta assolutamente sempre la stessa cosa, salire verso il cielo. Con questa idea l’architetto Sarah Mohd Salleh ha mostrato una delle possibili soluzioni per la razza umana di poter sopravvivere in futuro.

Prendendo ispirazione dalle foreste pluviali equatoriali, un luogo ostile in cui ancora vige una spietata lotta per la vita, l’architetto ha pensato di progettare strutture analoghe per il mondo urbano e metropolitano, creando una simbiosi del proprio progetto con i funghi. L’architettura diventa una foresta dove gli alberi artificiali sono sostituiti con edifici a forma di fungo completamente autosufficienti. Proprio come in un albero, il baldacchino del fungo è integrato con celle solari e dove i rami forniscono alloggi sostenibili.

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Oltre a energia elettrica solare, gli edifici generano naturalmente bioenergia, destinata a ciascuna colonia umana sul fungo. L’acqua piovana verrebbe raccolta e utilizzata sia per usi potabili sia per irrigare. I trasporti tenderanno ad essere minimizzati mantenendo il 90% dello spazio solo per pedoni. Ogni colonia vedrebbe una propria produzione di cibo ed energia per se stessa grazie all’utilizzo di giardini verticali e orti pensili. Obiettivo di questo progetto di architettura sostenibile quindi diventa quello di creare un significativo polmone verde urbano grazie all’integrazione di moderne tecnologie con un ambiente di vita tropicale.

Il verdetto annuncia come data critica il 2030, momento in cui la Terra subirebbe la massima espansione e sviluppo nelle aree urbane. Le città diventerebbero i più diffusi centri di diffusione di pericolose malattie, oltre ad una scarsa qualità di vita e mancanza di considerazione di diverse esigenze di socializzazione e di ricreazione che non siano legate allo smaltimento di stress psicologico o aree tampone (vedi palestre o discoteche). Ironicamente gli spazi aperti verdi saranno ancora continuamente fagocitati da questo rapido sviluppo che punta a rispondere ai bisogni base di sopravvivenza umana, rappresentati da un riparo e da un qualche senso di sicurezza diffuso.

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“Si stima che il 70-90% della vita nella foresta pluviale si possa trovare fra gli alberi, sopra quindi dal piano ombreggiato della foresta. La foresta tropicale primaria è divisa verticalmente in almeno cinque livelli. Ogni livello ha la sua unica specie animali e vegetale che interagisce con l’ecosistema che li circonda”, spiega Sarah Mohd Salleh. “Il nostro intento era quindi quello di puntare a raggiungere una somiglianza con questo sistema della foresta pluviale equatoriale, Tecnicamente “il fungo urbano” vedrebbe l’applicazione di sistemi integrati per migliorare l’utilizzo delle fonti di energia naturale per produrre energia per il futuro della città oltre alla raccolta di acqua piovana e di biomassa, come principale sostentamento energetico per la vita della città. Così la nostra proposta punta al concetto di mantenere e sostenere le zone verde e di sviluppare parchi urbani senza distruggere né perdere il significato esistente di polmone urbano verde. Senza dimenticare che è bene realizzare una riduzione dell’inquinamento acustico e inquinamento atmosferico, riducendo il traffico stradale, creando un nucleo centrale di trasporto metropolitano sotterraneo. Necessario sarà poi progettare l’habitat in ogni colonia, rafforzando la comunità e introducendo spazi comuni per i residenti in modo da sviluppare lo spirito di una comunità.

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