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La tecnica per convertire la plastica partendo dai sacchetti in nanotubi al carbonio è stata sviluppata da Vilas Ganpat Pol all’Argonne National Laboratory in Illinois ed in particolare converte il polietilene ad alta o bassa densità (HDPE e LDPE) in preziosi nanotubi di carbonio. Il processo finora richiede una considerevole quantità di un catalizzatore per ottenere buoni risultati per i nanotubi in carbonio e i risultati finora hanno portato ancora a rendimenti bassi, circa un quinto del peso della plastica viene convertita e la restante non può essere facilmente recuperata in seguito. Pol, afferma che ancora c’è molto da lavorare ma questo metodo risulta essere ancora uno dei più economici ed ecocompatibili trovati finora per produrre nanotubi in carbonio. “Altri metodi richiedono generalmente una quantità considerevole di energia, nonostante nel mio metodo utilizzo le alte temperature.”
Geoffrey Mitchell dell’Università di Reading in Gran Bretagna, esperto nel riciclaggio della plastica, pensa che la nuova tecnica è una parte “interessante del puzzle” del riciclaggio dei rifiuti di plastica, soprattutto per produrre materiali adatti all’elettronica. Ma pensa l’uso di sostanze e catalizzatori come il cobalto, relativamente costoso in quanto non recuperabile, potrebbe essere problematico se il sistema viene scalato. Pol d’accordo sulla critica, aggiunge però che il cobalto che utilizzerà proverrà da materiale di recupero e potrà essere in ultima analisi, ancora recuperato.
Materiali che assorbono CO2 o altri gas che provocano effetto serra saranno sempre più al centro dell’attenzione per l’intero settore della scienza dei materiali e delle chimica. Immaginate ad esempio una paperella di gomma in grado di assorbire CO2 … da questa considerazione è partita la Myriant Technologies LLC che ha appena vinto un finanziamento dall’US Department of Energy per realizzare un nuovo impianto che produrrà acido succinico dal sorgo, utilizzando un processo naturale più efficiente rispetto ai metodi convenzionali. Lo stesso processo è in grado di assorbire anidride carbonica anche più di quello che produce.
Fino ad ora, il petrolio è stato scelto come la materia prima per la fabbricazione di acido succinico. Se il successo commerciale, di un processo più sostenibile e a base naturale come quello sviluppato dalla Myriant potrebbe avere un impatto significativo sulle emissioni globali di CO2. Considerate solo che l’acido succinico può essere utilizzato in una gigantesca gamma e varietà di materiali non tossici e senza additivi. Dal diesel, ai prodotti farmaceutici a prodotti alimentari senza considerare la plastica con cui si produce dagli involucri alle suole delle scarpe. L’acido succinico può essere estratto dalla biomassa più che dal petrolio o dall’ambra (conosciuto anche come acido d’ambra). La Myriant ci ha impiegato quattro anni a sviluppare il suo processo di produzione di acido succinico da sorgo, prima di andare in produzione su scala commerciale. Il nuovo impianto per estrarre la preziosa materia prima dal sorgo sarà costruito presso il Porto di Lake Providence, Louisiana.
La Myriant diventa così una delle prime imprese su scala commerciale a chiudere la porta al petrolio per produrre materie prime per bioplastica. Contemporaneamente anche la Pomacle in Francia si prepara alla propria start-up per produrre sempre il prezioso acido succinico. La Pomacle punta ad estrarlo da grano, mais, canna da zucchero, riso, e glicerina (sottoprodotto importante della produzione di biocarburanti). Oltre ad altre materie prime per la bioplastica come le alghe e le acque di scarico, o le fibre naturali come gusci di noce di cocco, è necessario che il mercato punti in alto a scardinare il monopolio del petrolio e addirittura le forze armate Usa si stanno “svegliando” per utilizzare processi a base biologica come quelli sopra descritti per produrre, materie plastiche compostabili per l’imballaggio di alimenti da campo.
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