Calcestruzzo e Cemento che Catturano CO2: L’importanza di Responsabilizzare il Settore dell’Edilizia Verso la Green Economy

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Bioarchitettura

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Pubblicato il giorno 15 febbraio 2010 - 1 commento



   


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Il calcestruzzo sembra un materiale piuttosto inoffensivo. Si comporta praticamente come il fango e non sembra far nulla se non stare lì e indurire. Il fatto è, però, che il calcestruzzo è la più grande fonte artificiale al mondo (la terza per l’esattezza) nella produzione di anidride carbonica. I suoi processi di produzione partendo dal cemento contano almeno dal 5 all’8% delle emissioni di CO2 nell’atmosfera ogni anno. Superiore perfino al trasporto aereo. Questa percentuale deriva principalmente da due fonti: dall’energia richiesta per “cuocere” il cemento negli appositi forni e dalla conseguente CO2 generata in questo processo. Senza dimenticare la CO2 equivalente che andrebbe considerata in una valutazione di impatto ambientale e intero ciclo di vita del prodotto. A quanto pare, però, non deve essere così. Diverse aziende stanno utilizzando al momento diverse tecnologie che non solo rendono il calcestruzzo neutro al carbonio ma addirittura negativo. La notizia proviene dall’Inghilterra da dove si calcola che entro il 2020 la produzione di cemento e così i suoi derivati come il calcestruzzo raddoppierà.

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Una delle alternative sostenibili, proviene dal lavoro condotto dall’Università di Cardiff e dalla società gallese Cenin. La tecnologia sviluppata utilizza per la produzione del calcestruzzo scarti industriali riducendo la necessità dell’estrazione di materie prime e dunque un minor impatto ambientale. Il passo avanti tecnologico consiste ora in una trasformazione chimica dei materiali utilizzati per la produzione che, a quanto riporta la Cenin permetterebbe di abbattere del 75% le emissioni di CO2. In realtà l’obiettivo del progetto nato dalla partnership è molto più ambizioso e punta a ridurre ulteriormente questo valore adottando impianti che utilizzano fonti di energia rinnovabile per le proprie lavorazioni. A rendere possibile l’intero progetto è nato il cosiddetto “Sistema-Galles”, una rete di infrastrutture dedicate alla ricerca e all’innovazione che incorpora un network collaudato fra industria e università. Questo ecosistema da la possibilità di accedere a finanziamenti nazionali ed europei oltre a programmi di sostegno pubblico per le imprese più innovative.

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L’altra nuova formula rispettosa dell’ambiente e’ stata elaborata dalla Novacem, sfruttando nuove materie prime, principalmente silicati di magnesio in opposizione al tradizionale cemento Portland, che non solo richiede una temperatura maggiore durante la lavorazione, ma emette CO2 ad alte temperature, i silicati di magnesio invece sono addirittura in grado di assorbirne grandi quantità durante la fase di raffreddamento e di posa in opera. Il nuovo cemento messo a punto durante una collaborazione con la Royal Imperial College di Londra ha già attirato l’attenzione dei colossi dell’edilizia (Rio Tinto Minerals, WSP Group e Laing O’Rourke) e naturalmente di investitori come il Carbon Trust. Novacem vanta cifre di tutto rispetto nella cattura di CO2. Novacem afferma che per ogni tonnellata di cemento utilizzato, vengono catturati sette quintali circa di CO2 e i costi di produzione sarebbero paragonabili a quelli del cemento Portland. Considerato l’importante settore altre società in Europa stanno sviluppando prodotti simili, come l’olandese C-Fix o le australiane TecEco e Calix. Novacem ha già inaugurato il nuovo progetto di impianto pilota grazie anche al co-finanziamento del prezioso ente governativo Technology Strategy Board, promettendo di arrivare ad una prima commercializzazione entro cinque anni.

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Calera è un’interessante società californiana che trasforma il carbonio proveniente dalle emissioni industriali in componenti per calcestruzzo e asfalto. Questo processo viene chiamato CMAP (Carbonate Mineralization by Aqueous Precipitation) e coinvolge i gas di combustione attraverso acqua di mare a pH regolato da soluzioni alcaline. Si dice che il processo elimini il 70-90% delle emissioni di CO2 provenienti dai gas, la proporzione è che ogni tonnellata di materiale da costruzione può contenere fino a mezza tonnellata di carbonio catturato.

Il processo CMAP ha un altro paio di assi nella manica. E ‘stato dimostrato che cattura 95-98% di anidride solforosa proveniente dai gas di combustione e neutralizza altri inquinanti come il mercurio, azoto e ammoniaca. Addirittura combinato con un impianto di desalinizzazione, potrebbe anche produrre acqua potabile a basso costo, considerando il fatto che il processo utilizza acqua di mare che verrebbe già pompata e da cui verrebbero rimossi calcio e magnesio in essa contenuti, rendendo il processo di dissalazione più economico e facile. Il nuovo processo mette in luce come una trasversalità di tecnologie sostenibili possano diventare fonte di business, Calera infatti spera che i ricavi generati dai processi di desalinizzazione dell’acqua, insieme alle vendite del cemento, possano contribuire al ritorno economico dei costi dell’intero processo CMAP.

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Intanto secondo uno studio del WWF “A blueprint for a climate friendly cement industryl’industria mondiale del cemento può ridurre fino al 90% le proprie emissioni entro il 2050, considerando le tecnologie disponibili oggi. Lo studio mette in discussione come secondo un nuovo approccio da adottare nei diversi settori industriali per la riduzione delle emissioni possano ridurre notevolmente l’impronta ecologica del cemento. Ma le possibilità per farlo sono molteplici. Significative potenzialità di risparmio si possono ottenere dall’impiego di fornaci più efficienti per la produzione della calce. L’efficienza energetica è fondamentale. Oggi sul mercato sono disponibili soluzioni più efficienti ed è importante quindi che tutti i nuovi impianti siano costruiti utilizzando le miglior tecnologie sostenibili.

Un altro grosso potenziale di riduzione delle emissioni di CO2 si trova anche nella possibilità di integrare progressivamente l’utilizzo delle biomasse come combustibili nelle fornaci arrivando ad un 40% entro il 2050. E sempre considerando l’efficienza energetica, un’altra causa di intense emissioni nella produzione del cemento è l’utilizzo di elettricità che potrebbe essere ridotto di due terzi utilizzando sistemi di recupero del calore e apparecchiature elettriche più efficienti. La qualità deve essere un secondo fattore fondamentale per allungare il ciclo di vita di un prodotto artificiale tra i più “sporchi” in circolazione. Utilizzando materie prime di qualità, quindi di maggiore durata si può ridurre la domanda stessa di calcestruzzo, promuovendo poi tipologie di cementi a basso impatto e disegnati ad hoc per i grandi progetti, si potrebbe ulteriormente ridurne le emissioni di CO2 del 32%. In un futuro in cui le emissioni di gas serra saranno sempre più limitate dalle normative internazionali, la redditività delle industrie pesanti dipenderà dai suoi processi produttivi.

Sicuramente l’affermazione di Jonathan Essex, membro della divisione sostenibilità e ambiente dell’Ordine degli Ingegneri Civili in Gran Bretagna sottolinea l’importanza dell’argomento: “in Inghilterra i costi climatici della produzione industriale ci obbligano a ridurre le emissioni di gas serra, e ogni settore deve fare la propria parte. A causa del suo maggiore impatto ambientale, il settore edile deve necessariamente assumersi responsabilità maggiori”.

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1 commento

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  1. Anche in Italia moltissime aziende stanno utilizzando diversi metodi per diminuire l’impatto ambientale o addirittura ridurre e assorbire l’inquinamento. Ad esempio grazie alla fotocatalisi l’italcementi produce un cemento che assorbe gli agenti inquinanti (http://www.italcementi.it/ITA/Prodotti+servizi+e+qualita/Prodotti+Fotocatalitici/TX+Active.htm) mentre alcune aziende di piastrelle hanno utilizzato il trattamento sui loro prodotti (http://www.active-ceramic.it/), che diventano quindi ideali per ospedali e altri luoghi dove l’igiene è il problema principale in fase di progettazione.

    Il mio dubbio pero è relativo al “troppo”.. non c’è un’esagerazione nel voler progettare luoghi praticamente asettici e sempre, costantemente, antibatterici, antismog e antitutto?

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