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La localizzazione economica rappresenta una risposta positiva e concreta alle sfide dell’insicurezza alimentare, ai cambiamenti climatici, al picco del petrolio e all’instabilità finanziaria. I governi dovrebbero sostenere questa visione alternativa per uno sviluppo sostenibile a misura d’uomo.
Il concetto di discriminazione a favore delle economie locali non è affatto nuovo. Uno dei sostenitori più noti di proteggere il locale non è altro che John Maynard Keynes, come sottolineato nel suo famoso saggio del 1933, Auto-sufficienza nazionale: “Sono solidale con coloro che vorrebbero ridurre al minimo, piuttosto che coloro che vorrebbero massimizzare il coinvolgimento economico tra le nazioni. Le idee, la conoscenza, la scienza, l’ospitalità, i viaggi – queste sono cose che per loro natura dovrebbero essere internazionali. Ma che le merci venissero prodotte in casa, ovunque sia ragionevole e convenientemente possibile, e soprattutto, per non finanziare in via principale le multinazionali”.
Naturalmente, il mondo è cambiato in modi che Keynes non avrebbe potuto prevedere. Per i sostenitori contemporanei di quello che viene spesso definito come “localizzazione”, i problemi vanno ben oltre la tutela dei posti di lavoro locali e dell’industria. Per respingere i sostenitori della piccola scala, si pensa allo sviluppo della comunità economica orientata ad essere protezionista e a non violare sia la motivazione sia le modalità dei soggetti coinvolti (aziende ed organi multi-sovranazionali). La crescente attenzione su una maggiore fiducia verso soluzioni che permettono una importante transizione dovrebbe invece essere considerata alla luce di un quadro economico globalizzato.
La produzione globale di cibo è aumentata notevolmente negli ultimi decenni, eppure così anche il numero di persone che soffrono di fame. I dati recentemente rivelano che le vittime della fame nel mondo sono circa 925 milioni (UN Food and Agriculture Organization, 2010). La mancanza dell’approvvigionamento alimentare a disposizione non è il problema fondamentale, in quanto gli attuali livelli di produzione sono più che sufficienti per soddisfare le esigenze globali. Le cause strutturali dell’insicurezza alimentare sono radicati in una eccessiva dipendenza della volatilità dei mercati internazionali dei prodotti alimentari di base, sia nei paesi in via di sviluppo e sviluppati.
La volatilità dei mercati, da ricercare tra le attività speculative, non solo fanno aumentare il prezzo che le famiglie spendono per mangiare ma spingono i prezzi a ribasso per gli agricoltori la cui sussistenza dipende da colture di esportazione. I media e molte ONG hanno prestato molta attenzione alla crescente malnutrizione nelle zone agricole dove hanno sostituito i raccolti ai contanti (compresi i biocarburanti) per una produzione alimentare locale. Le conclusioni indicano chiaramente che l’attenzione sulle colture di esportazione ha lasciato molti piccoli produttori (la maggioranza della popolazione rurale povera) vulnerabili alla volatilità dei mercati internazionali e alla concorrenza internazionale.
Ricostruire le economie alimentari locali è un passo importante per affrontare i problemi di volatilità nei mercati globali. Su piccola scala, la produzione alimentare diversificata per il consumo locale e regionale è essenziale per la creazione di opportunità di sostentamento più stabile per qualsiasi paese. Ricostruire economie alimentari locali significa inoltre offrire migliore speranza per garantire una sicurezza alimentare nazionale e regionale attraverso una maggiore autonomia.
Nei paesi industrializzati, localizzare la produzione alimentare e aumentare l’autosufficienza alimentare è altrettanto importante. Il movimento per un’alimentazione locale, nonostante più evidente della crescente popolarità che stanno prendendo iniziative come orti comunitari e mercati di prodotti agricoli locali, mira ad affrontare sia una sostenibilità ambientale sia una maggiore equità del sistema alimentare globale. Concetti come “chilometri zero” stanno trasformando i consumatori in modo consapevole rispetto alle emissioni di carbonio associate al commercio a lunga distanza (soprattutto per quel che riguarda le materie prime agricole), al punto in cui anche le catene di supermercati ora attivamente iniziano a riempire gli scaffali con prodotti locali, spesso e purtroppo anche per costruirsi un’immagine più “green”…
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