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Il settore petrolifero è sul banco degli imputati — insieme con altri comparti industriali, ma più di altri comparti industriali — per le emissioni di anidride carbonica, il gas che si produce nei processi di combustione e che è accusato di riscaldare il clima del mondo.
Al tempo stesso il comparto del petrolio e del gas è fra quelli che più cercano di sviluppare tecnologie per ridurre l’impatto delle attività sull’ambiente. L’impatto è dato dall’uso dei combustibili (ed ecco l’attenzione a nuovi prodotti) e dai cicli di produzione, dall’estrazione alla raffinazione. Nel mondo petrolifero, diviso fra Paesi con politiche ambientali diverse, fra consuetudini non omogenee, ci sono ovviamente posizioni diversificate. Ecco perché alcune compagnie più avanzate hanno assunto il ruolo di apripista, in vista anche del summit Onu sul clima in programma a dicembre a Parigi.
Fra le italiane spiccano l’Eni e l’Edison le quali, oltre ad attivarsi per ridurre l’impatto ambientale dei loro impianti produttivi, promuovono intese internazionali fra le compagnie del settore. I risultati raggiunti negli ultimi anni sono importanti: dal 2010 ad oggi le emissioni dirette di gas serra dell’Eni si sono ridotte del 25%. Per esempio, le compagnie italiane hanno realizzato progetti innovativi per eliminare le fiaccole del gas flaring, cioè quelle torce che sulle piattaforme bruciano i gas che si sviluppano insieme con il petrolio.
Ma c’è un’attività invisibile fra le decine di aziende italiane dell’indotto petrolifero, quei poli delle tecnologie più avanzate al mondo che fra Ravenna, Trieste, Genova e il vivace distretto piacentino riuniscono le imprese che propongono alle major internazionali soluzioni e ritrovati per ridurre il loro impatto sull’ambiente. Mentre l’Edison è in vista fra le aziende petrolifere aderenti all’Ipeca — organizzazione creata su iniziativa dell’Unep, il programma ambientale dell’Onu — l’Eni è fra i soci fondatori dell’Ogci, sigla di Oil and gas climate initiative.
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