Acqua nel Deserto. Dall’Estrazione, Grazie ad un Innovativo Sistema Energeticamente Autonomo, ad un Sistema di Gestione e Irrigazione Suggerito da una Pianta

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Ambiente

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Pubblicato il giorno 09 luglio 2009 - Nessun commento



   


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Nel mondo c’è acqua per tutti, l’unico problema diventa come trasformarla per renderla potabile. E non bisogna immaginare il deserto come un luogo privo di acqua, certamente il paesaggio testimonia la mancanza di acqua in soluzione liquida. Ma l’aria contiene acqua e le nuove ricerce di settore stanno inventando diverse metodologie su come ottenere acqua potabile dall’umidità dell’aria. Nel deserto del Negev in Israele, per esempio, la media annua del’l'umidità relativa dell’aria è del 64%. in ogni metro cubo di aria ci sono 11,5 ml di acqua.

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I ricercatori tedeschi del Fraunhofer Institute hanno così recentemente annunciato di aver sviluppato un nuovo metodo per trasformare l’umidità presente nell’aria in acqua potabile utilizzando energie rinnovabili, rendendo il sistema energeticamente autonomo. Essi propongono grandi impianti di raccolta di acqua che possono essere collocati anche nei luoghi più remoti, come il deserto del Sahara. Inoltre raccogliere l’acqua presente nell’atmosfera in realtà non è mai stato così difficile come sembra, il  problema invece è sempre stato in che modo farlo, relativamente basso costo e ad alta efficienza energetica.

Il nuovo  L’interessante ricerca è stata guidata da Siegfried Egner del prestigioso Fraunhofer Institute for Engineering and Biotechnology (IGB) di Stoccarda, in collaborazione con Logos Innovation. La parte più interessante della ricerca è come questo concetto può essere adattato a seconda della domanda di acqua richiesta. La domanda di acqua infatti può essere adattata da esigenze individuali, nonché a grandi impianti. Finora, i ricercatori sono stati in grado di replicare il sistema innovativo di potabilizzazione dell’acqua in un laboratorio, ma la speranza resta di lanciare un progetto di un impianto pilota al più presto.

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L’innovativo processo funziona come segue: una soluzione salina assorbe l’umidità dall’aria che fluisce attraverso una torre. L’umidità, raccolta dalla soluzione salina viene poi risucchiata in una cisterna sotterranea che grazie ad una bassa pressione, abbassa il punto di ebollizione del liquido e così può essere facilmente riscaldata da dei collettori termici e celle fotovoltaiche installate sul tetto. La bassa pressione presente nel sistema è la chiave in questo processo. Uscita dalla cisterna sottoforma di vapore acqueo viene raccolta e convogliata in un tubo che a sua volta crea una piccola pressione trascinando verso il basso ulteriormente il liquido, creando così un ciclo continuo all’interno del sistema. Tale acqua viene raccolta in un serbatoio quindi facilmente consumata. Non dovrebbero esistere enormi difficoltà da attraversare per realizare un primo impianto in scala per i test in grado di raccogliere l’acqua dall’aria, quindi non resta che aspettarne la realizzazione.

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Oltre a trasformare al meglio ed in modo economicamente efficiente l’acqua dall’aria è molto importante anche come quest’acqua può essere poi utilizzata al meglio. Un ricercatore presso l’Università di Haifa, ha presentato una insolita scoperta proveniente proprio dal deserto del Negev in Israele. Il Rheum palaestinum, meglio conosciuto come rabarbaro del deserto è una pianta che vive in condizioni estreme e che riesce ad utilizzare l’acqua in modo veramente efficiente. Al fine di adeguarsi alle dure condizioni del deserto, la pianta ha sviluppato ampie foglie scanalature e canali. Tale sistema che utilizza anche la superficie cerosa delle foglie, consente alla pianta di canalizzare al meglio l’acqua piovana ed alimentare le proprie radici.

Il professore Simcha Lev-Yadun oltre ad essere un botanico è anche un archeologo e in grado di affermare che a Nabaten le persone che hanno vissuto nel deserto del Negev, ala fine del periodo bizantino, avevano creato particolari tumuli in pietra, in modo che l’acqua piovana venisse canalizzata al meglio grazie alle colline e alle forme del terreno per realizzare un complesso sistema d’irrigazione. Si è notata così la straordinaria somiglianza con il sistema di canalizzazione creato dalle foglie delle pianta di rabarbaro del deserto, rivelando che gli antichiavevano sfruttato queste conoscenze nel miglior modo possibile.

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Il rabarbaro è stato in grado di sopravvivere alle dure condizioni molto aride che offre il deserto, raccogliendo fino a 16 volte più acqua rispetto ad altre piante della zona. Il sistema è così ben sviluppato che non solo le sue radici sono completamente alimentate, ma la penetrazione dell’ acqua nel suolo è 10 volte più profonda di quello che potrebbe essere stato se la pioggia fosse caduta direttamente sulla superficie del suolo. Secondo il recente studio e ulteriori ricerche sulla meccanica della pianta si è notato che il rabarbaro del deserto può raccogliere 4,2 litri di acqua ogni anno, rispetto ad una media di precipitazioni di 75 mm l’anno.

La capacità di raccogliere e gestire l’acqua, offerta dal modello di questa pianta può essere usata come un modello per lo sviluppo di sistemi simili di raccolta delle acque per scopi agricoli, in particolare nelle zone con condizioni climatiche aride e semi-aride. E sembra che questa piccola pianta potrebbe dare alla scienza un nuovo concetto che potrebbe cambiare il volto dell’irrigazione massimizzando al melgio la distribuzione di acqua anche in zone aride.

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