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Il titolo può suonare un pò retorico e “anti-globalizzazione” e in un certo senso lo è, ma sulla base di un nuovo report del Proceedings of the National Academy of Sciences abbiamo qualche prova in più che le riforme applicate sul mercato a metà degli anni Ottanta in Africa invece che portare prosperità, come previsto, hanno portato un aumento della povertà, della fame e delle rivolte per il cibo.
Il professor Laurence Becker della Oregon State University spiega che queste riforme del mercato “molto spesso hanno eliminato i sistemi di supporto fondamentale per gli agricoltori poveri che non avevano un’auto, nessuna assicurazione sulla terra, che guadagnavano 1$ al giorno e tenevano i loro £600 dollari, i risparmi di una vita, nascosti sotto il materasso”. Spiega il Prof. Becker che a tali persone è stato chiesto di competere con le importazioni di prodotti agricoli provenienti da tutto il mondo. Una volta che le barriere tariffarie sono state rimosse “Prodotti alimentari importati a basso costo hanno invaso i loro Paesi, alcuni dei quali erano già autosufficienti in ambito agricolo”.
“Molte persone nei paesi africani, continua Becker, coltivano terreni agricoli locali in comune, come hanno fatto per generazioni, senza autorizzazioni o attrezzature costose – e hanno sviluppato sistemi che non possono essere avanzati ma restano comunque funzionali. Spesso non sono pronti a competere con le multinazionali o con i sofisticati sistemi di scambio dei mercati occidentali. La perdita della produzione agricola locale li pone alla mercé di spese alimentari che subiscono picchi improvvisi, in tutto il mondo. Alcuni agricoltori si trovano a competere con nazioni come gli USA, l’Asia orientale e altre che ricevono supporti per le colture o sussidi di vario tipo, mentre gli africani devono abbracciare il commercio completamente gratis e senza alcuna forma di assistenza. “Un mercato veramente libero non esiste in questo mondo” ha detto Becker.
I ricercatori concludono che in molti luoghi l’enfasi data alle pratiche colturali della “rivoluzione verde” in ambito agricolo hanno causato più danni che vantaggi, mentre le riforme del mercato hanno portato il costante aumento della disoccupazione e l’indebolimento della produzione alimentare locale. Questo deve essere il “punto di vista verde” sulla questione: aumentare le potenziali soluzioni presentate dai ricercatori, più diversità nelle colture locali, barriere doganali appropriate “per dare ai produttori locali una ragionevole possibilità”, creare reti stradali e migliori infrastrutture necessarie alla produzione di colture locali da portare sul mercato.
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