LCA, Life Cycle Assessment: Quando tutto cambia. Con Leo Breedveld di 2BE per scoprire lo strumento più potente per valutare le scelte verso uno sviluppo sostenibile. Contro il greenwashing una sfida per tutte le aziende di oggi

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Ecodesign

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Pubblicato il giorno 16 aprile 2008 - 1 commento



   


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Il Life Cycle Assessment ossia la Valutazione del Ciclo di Vita ad oggi rappresenta uno dei più importanti, fondamentali e necessari strumenti per individuare, valutare e quantificare i carichi energetici e impatti ambientali potenziali di un qualsiasi prodotto, processo di produzione e servizio. l’LCA è valutazione subordinata ad un altro strumento operativo il “Life Cycel Thinking“. LCA rappresenta inoltre un supporto fondamentale allo sviluppo degli schemi di etichettatura ambientale (in riferimento ad un dato gruppo di prodotti, etichette ecologiche di tipo I come Ecolabel oppure come strumento per l’ottenimento di una Dichiarazione Ambientale di Prodotto DAP: etichetta di tipo III).

LCA potenzialmente ha innumerevoli applicazioni:

  • Sviluppo e Miglioramento di prodotti e processi di produzione;
  • Marketing Ambientale;
  • Pianificazione Strategica;
  • Attuazione di una Politica Pubblica.

Con Leo Breedveld, tra gli esperti di LCA a livello europeo e fondatore di 2B Consulenza Ambientale, abbiamo voluto approfondire questo argomento per molti scottante, di immediata attualità e che sta assumendo sempre più la sua importanza per tutte le aziende.

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  • Araceli de la Parra: Tratto dal vostro sito: la LCA è un strumento per analizzare l’impatto ambientale di un prodotto lungo tutte le fasi del suo ciclo di vita, dall’estrazione alla trasformazione delle materie prime, attraverso la produzione, il trasporto, l’utilizzo, via via fino allo smaltimento. Quali sono gli strumenti che utilizzano la LCA?

Leo Breedveld – 2BE: La LCA viene utilizzata principalmente all’interno delle imprese per migliorare le prestazioni ambientali dei prodotti. In tale contesto, essa rappresenta uno strumento di supporto per la progettazione sostenibile: l’ecodesign. La LCA viene anche applicata per dare supporto alla comunicazione ambientale attraverso vari marchi ecologici (Ecolabel ed EPD), agli strumenti procedurali (VIA, VAS), agli strumenti di gestione ambientale (ISO, EMAS), all’implementazione delle direttive Europee (EuP, IPPC) e alla politica ambientale (IPP, SCP). In realtà le possibilità sono infinite, poiché è applicabile a tutti i prodotti, processi e servizi per i quali ci sia la curiosità di capire l’impatto ambientale con lo scopo di migliorare le prestazioni ambientali.

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  • Araceli de la Parra: LCA con SimaPro, è un metodo basato su numeri (volumi/quantità), questi numeri servono per l’ottenimento delle certificazioni? I risultati di queste valutazioni di solito sono gli stessi di quelli che si potrebbero trarre dall’intuizione?

Leo Breedveld – 2BE: La LCA è una metodologia e SimaPro il software di LCA più diffuso al mondo. La complessità dello strumento LCA e la quantità di dati, calcoli e analisi necessari per lo svolgimento di uno studio rendono necessario l’utilizzo di un software come SimaPro che quantifichi  l’impatto ambientale del prodotto in questione. La valutazione consiste principalmente di due parti: l’inventario dei consumi (energia, acqua, materie prime) e le emissioni (in aria, acqua e suolo), a loro volta aggregati in impatti ambientali (per esempio l’effetto serra, il buco d’ozono e l’acidificazione) sulla base di modelli scientifici. I risultati di uno studio di LCA condotto seguendo determinati criteri possono essere utilizzati per ottenere l’Environmental Product Declaration (EPD, in italiano Dichiarazione Ambientale di Prodotto DAP), ovvero un ecolabel tipo 3. Con questo ecolabel un’azienda rende pubblico e trasparente l’impatto ambientale del proprio prodotto.

I risultati di una valutazione del ciclo di vita non sono sempre facilmente deducibili e infatti non sono rare le situazioni in cui l’intuizione si è dimostrata cattiva maestra. L’intuizione e il buon senso dovrebbero essere accompagnati da una conoscenza dei criteri di base della sostenibilità e l’abilità di guardare all’intero ciclo del prodotto che si intende sviluppare, applicando quello che viene chiamato life cycle thinking, l’approccio qualitativo al ciclo di vita. L’aspetto quantitativo, scientifico, può intervenire quando c’è già un’idea, un concetto su cui lavorare.

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  • Araceli de la Parra: Cosa consiglieresti a un eco-designer da tenere in considerazione mentre è ancora nella fase creativa di un progetto? Cioè, risulta sufficiente essere informato sui processi produttivi e quindi in base alla informazione che possiede, progettare intuitivamente prodotti ad impatto zero? O secondo te è necessario avere anche altri strumenti?

Leo Breedveld – 2BE: Attraverso l’approccio qualitativo al ciclo di vita, il life cycle thinking, un ecodesigner dovrebbe partire da una consapevole scelta dei materiali e percorrere la vita della sua creazione individuando gli impatti più significativi. La sfida di un designer è entusiasmante: creare un prodotto funzionale, intelligente, esteticamente attraente, con un contenuto emozionale e comunicativo, senza dimenticare gli aspetti economici e di sostenibilità. Questi ultimi si traducono in molte scelte, quali la minimizzazione nell’uso dei materiali, l’uso di materiali riciclati e riciclabili, il packaging, le risorse necessarie nella fase d’uso, la possibilità di essere eventualmente riparato sostituendone alcune parti, la possibilità di disassemblarlo per renderlo più facilmente riciclabile, la molteplicità di funzioni che può coprire, per citare le principali. E’ importante non dimenticare anelli della catena senza i quali scelte a monte e a valle perdono di significato e incisività, come ad esempio l’utilizzo di un materiale riciclabile se poi questo non può essere disassemblato dal resto o se la raccolta differenziata di quel materiale non è prevista. Un altro esempio è dato dalla scelta dei materiali, preferiti pensando solo ad aspetti quali la riciclabilità senza considerare impatti importanti quali la loro estrazione e lavorazione. Vale la pena ricordare che in una fase iniziale è sempre possibile svolgere un’analisi di LCA basata su dati non specifici, quindi molto semplificata, ma sufficiente per fornire delle utili indicazioni.

In quanto all’ambizione di sviluppare prodotti a impatto zero, il termine ultimamente è un po’ inflazionato, così come anche “sostenibile” ed “ecocompatibile”. In Italia se ne parla ancora poco, ma in altri paesi affermazioni di sostenibilità non sufficientemente dimostrabili vengono considerate manifestazioni di greenwashing.

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  • Araceli de la Parra: Scendiamo ora nel concreto, un’azienda si rivolge a voi per una consulenza che riguarda i propri servizi, un esempio reale: un agenzia pubblicitaria (fotografia, grafica, stampa, web, multimedia e web) quali sono gli step da conseguire,  i vostri possibili interventi e/o strumenti per aiutare l’azienda a conseguire un buon livello di sostenibilità?

Leo Breedveld – 2BE: Il primo passo consiste nel comprendere a che punto è l’azienda, per questo svolgiamo una diagnosi delle attività ambientali (gestione ambientale, progettazione sostenibile, comunicazione ambientale). Con questa fotografia, identificando le specifiche esigenze, cerchiamo di sostenere l’azienda nel suo percorso ambientale. In principio la metodologia LCA non fa differenza tra servizi e prodotto. Per entrambe gli step da intraprendere sono la definizione dello scopo, l’inventario dei dati, la valutazione dell’impatto e l’interpretazione, con la differenza che la LCA di un servizio è più complessa. Per tale motivo un valido strumento può essere costituito inizialmente dal life cycle thinking.

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  • Araceli de la Parra: Un’azienda invece che crea e vende un prodotto ad esempio una delle numerose aziende che assemblano e vendono pannelli solari? Quali sono le differenze fondamentali d’approccio verso chi si rivolge a voi per analizzare un servizio piuttosto di un’azienda che produce un bene?

Leo Breedveld – 2BE: Uno degli aspetti più interessanti della LCA consiste nel fatto di basare l’analisi non sul prodotto in sé, ma sulla sua unità funzionale, ovvero la performance del sistema di prodotto. Nell’esempio citato, l’unità funzionale è data non dal prodotto pannello solare, ma dalla produzione di un kWh. Riferendosi alla funzionalità del prodotto, la LCA è adatta ad analizzare prodotti, processi ma anche servizi (per esempio mobilità, turismo, rifiuti). Nella pratica, si sceglie un determinato approccio in base al tipo di azienda, alle sue necessità, agli obiettivi. Nel caso dei pannelli solari, assieme all’azienda si definiscono gli obiettivi e si sviluppa un piano di lavoro che viene poi messo in atto tramite un’accurata raccolta dei dati svolta durante circa 3 incontri e contatti diretti con un responsabile di progetto interno. I risultati sono sempre accompagnati da un elenco di opzioni di miglioramento e illustrate in un rapporto finale. Da questo punto in poi tutto dipende dal desiderio dell’azienda di puntare all’eccellenza attraverso l’innovazione e accettando di mettersi in discussione.

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  • Araceli de la Parra: Quali sono i punti critici dei vostri interventi, la parte più impegnativa o problematica?

Leo Breedveld – 2BE: La fase più impegnativa e laboriosa di una LCA è sicuramente la raccolta dei dati poiché tanto più si utilizzano dati specifici tanto più elevata è la qualità dello studio. Succede però che non sempre tali dati siano immediatamente disponibili e quindi è indispensabile una buona collaborazione con il cliente. Per le aziende si tratta comunque di un interessante percorso di crescita e consapevolezza, perché una LCA svela aspetti di un’azienda talvolta sconosciuti agli stessi interessati.

Paradossalmente, l’aspetto più problematico può essere rappresentato proprio dalla fase finale, ovvero quando ci sono tutti gli elementi per intraprendere un percorso di miglioramento, rappresentato da una diminuzione dell’impatto ambientale spesso accompagnata da una maggiore efficienza e una riduzione dei costi. Talvolta però capita che la LCA in sé venga vista come un obiettivo, un trofeo da esporre, e non come un’opportunità.

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  • Araceli de la Parra: Cosa pensi della certificazione C2C? Quali potrebbero essere gli strumenti per valutare i progetti che cercano questa certificazione?

Leo Breedveld – 2BE: La certificazione C2C si basa sui principi della LCA e include inoltre criteri di responsabilità sociale. Si parla molto di C2C come di una visione altamente innovativa. Personalmente credo che la novità proposta da McDonough e Braungart non stia tanto nell’aver chiuso il ciclo, visione già compresa nella LCA e l’ecologia industriale, ma nell’essere riusciti a rivitalizzare un sistema che in passato rimaneva circoscritto in un ambito puramente tecnico e scientifico. In un momento in cui l’ambiente è diventato uno degli argomenti più trattati e discussi al mondo, hanno saputo raccontare in modo accessibile a tutti il ciclo di vita e ispirare aziende e designer a rinnovare il loro modo di pensare. Curiosamente i criteri della certificazione C2C esistono solo a livello generale e non per ogni gruppo di prodotto, com’è il caso per quasi tutti gli ecolabel mondiali.

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  1. Se qualcuno risparmiasse qualcosa e nn inquinasse certo nn saremo nella situazione in cui ci troviamo!!!!!Buona giornata a tutti.

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