OTEC: l’Ocean Thermal Energy Conversion. Soluzione Energetica Semplice ma Rivoluzionaria o Anche la più Economicamente Efficiente Energia Rinnovabile dall’Oceano?

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Energia, Energie rinnovabili, Zoom

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Pubblicato il giorno 20 novembre 2008 - Nessun commento



   


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Il gigante aerospaziale Lockheed Martin ha mantenuto i suoi ingegneri occupati negli ultimi 12 mesi su progetti e modelli su ciò che equivale ad un lungo tubo in fibra di vetro. Si tratta, ovviamente, di non un ordinario tubo in fibra di vetro ma una parte integrante della tecnologia denominata OTEC Conversione dell’Energia Termica Oceanica (Ocean Thermal Energy Conversion) una pulita fonte di energia rinnovabile che ha le potenzialità di liberare buona parte del globo dalla dipendenza dal petrolio.

“L’OTEC ha il potenziale per diventare la principale fonte di energia rinnovabile nel mondo”, spiega Robert Cohen, che ha guidato il programma USA per l’OTEC nei primi anni 1970. Anche se il prezzo dei combustibili fossili è a ribasso questa situazione non equivale ad una qualche forma di stabilità e bisogna prendere coscienza della limitatezza delle riserve e del poco petrolio ancora rimasto disponibile nei giacimenti ormai esausti. Così aziende private dalle Hawaii al Giappone sono corse a puntare a realizzare una forma commerciale per gli impianti OTEC. Il trucco di questa interessante tecnologia è quello di sfruttare la differenza di temperatura tra la superficie del mare e le quello in profondità. 

In primo luogo, le acque di superficie calde riscaldano un fluido con un basso punto di ebollizione, come ammoniaca o una miscela di acqua e ammoniaca. Quando questo fluido bolle, il gas risultante crea pressione sufficiente a guidare una turbina che genera energia. Il gas viene quindi raffreddato mediante il passaggio del tubo nell’acqua fredda pompata dal mare profondo attraverso massicci tubi in vetroresina, di circa 1.000 metri di lunghezza, che succhiano acqua fredda fino a 1000 tonnellate al secondo. Mentre il gas condensa il liquido che può essere utilizzato nuovamente, l’acqua viene restituita al profondo dell’oceano. “Ed è proprio come una centrale elettrica convenzionale in cui si utilizza un combustibile come il carbone per creare vapore”, spiega Cohen.

L’idea di sfruttare i diversi strati termici dell’oceano per la produzione di elettricità è stato proposto per la prima volta nel 1881 dal fisico francese Jacques d’Arsonval, ma non aveva in quel periodo ricevuto molta attenzione fino a quando il mondo non è entrato in una crisi petrolifera dagli anni 1970. Nel 1979, il governo degli USA in partenariato con la Lockheed Martin, ha calato un tubo nelle acque da una chiatta al largo delle Hawaii che era parte di un sistema OTEC in grado di generare 50 KW di elettricità. 2 anni più tardi, un gruppo giapponese ha costruito un impianto pilota al largo delle isole del Sud Pacifico di Nauru in grado di produrre 120 KW.

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In successione l’US Department of Energy (DOE)ha iniziato la pianificazione di un impianto di 40 MW nelle Hawaii. Poi, nel 1981, i finanziamenti per le tecnologie OTEC hanno cominciato a diminuire fino al 1995, quando il prezzo del petrolio ha raggiunto il suo record al di sotto $ 20 al barile. Ora l’aumento dei costi del carburante hanno rilanciato l’interesse in questa tecnologia prima trascurata. Nel mese di settembre, il Dipartimento di Energia USA (DOE) ha aggiudicato la sua prima concessione per un impianto OTEC, concedendo alla Lockheed Martin $ 600.000 per sviluppare una nuova generazione di tubazione in fibra di vetro OTEC.

Cohen ritiene che ciò potrebbe portare a produrre fino a 500 MW dalle piattaforme giganti galleggianti offshore, inviando l’energia elettrica a terra attraverso reti di cavi sottomarini e navi di stoccaggio. Lockheed ha come primo obiettivo quello di ottenere un centro sperimentale. La società ha ottenuto insieme con Makai Ocean Engineering di Waimanalo, Hawaii, di costruire un impianto da 10-20 MW, più probabilmente al largo Hawaii, che si spera di avere installato e funzionante nei prossimi 4-6 anni. L’impianto, tra cui un tubo da 1000 metri con 4 metri di diametro – andrebbe ad alimentare le isole con la sua energia elettrica attraverso la rete di cavi sottomarini.

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OCEES International, con sede a Honolulu, intanto è in finitura di un progetto e modelli per un impianto OTEC che sarà costruita al largo dell’isola di Diego Garcia nell’Oceano Indiano, sede di una grande base militare degli Stati Uniti. L’impianto fornirebbe 8 MW di energia elettrica e sarebbe progettata anche per dissalare dell’acqua per 5 milioni di litri di acqua di mare al giorno. OCEES conferma che l’impianto potrebbe essere già installato e funzionante entro la fine del 2011. Al momento l’isola di Diego Garcia è alimentata interamente da gasolio, e l’impianto OTEC rappresenta un mezzo per una sicura indipendenza energetica. “E ‘una installazione militare strategica nel cuore dell’Oceano Indiano,” spiega Harry Jackson di OCEES. “I militari non vogliono fare affidamento su altri combustibili per rifornirsi di energia”.

“Credo che la tecnologia OTEC abbia il potenziale per sviluppare una sufficiente potenza di uscita molto più rapidamente di boe o dispositivi che utilizzano l’energia delle onde”, afferma Bill Tayler, direttore della US Navy’s Shore Energy. “Ci vorrebbero moltissime boe per produrre qualcosa intorno a 8-10 MW di potenza. Le ricerche nel settore continuano ma le nostre speranze puntano sulla diffusione e l’utilizzo di una tecnologia OTEC“. Tuttavia, entrambe i team di scienziati dovranno lavorare su questioni come le modalità di collegamento della piattaforma galleggiante, alle linee elettriche.

Scambiatori di calore dovranno essere progettati in modo da impedire impedisce l’eccessiva crescita e accumulo di alghe che potrebbero intasare il sistema. “Sarà la grande energia in grado di cambiare le regole del gioco per il nostro Stato e le altre parti del mondo ma tutto questo se saremo in grado di ottenere una buona efficienza con la tecnologia OTEC raggiungendo il livello di 100 MW o più di energia elettrica prodotta”, spiega Reb Bellinger di Makai Ocean Engineering.

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Ma il potenziamento degli impianti OTEC non sarà facile. Progetti e modelli più piccoli hanno già incontrato le prime difficoltà. Nel 2003, gli ingegneri indiani hanno realizzato in pieno oceano un impianto OTEC da 1 MW utilizzando un tubo di 800 metri nel golfo del Bengala ma riscontrando grossi problemi di perdite. “Entrambe le volte ci sono stati alcuni problemi e l’argano è sceso nel profondo del mare per indagare”, spiega Kathiroli Subramanian, direttore di India’s National Institute of Ocean Technology. “Non credo che riusciremo ora ad andare al di là dei 5-0 MW con le conoscenze attuali”.

Eppure, la tecnologia dovrà essere migliore se vogliamo che impianti OTEC abbiano un sempre maggiore impatto significativo e potere di mercato. Hans Krock, che ha lavorato sugli impianti OTEC per l’Università delle Hawaii, il US Department of Energy e altri dal 1980, dice di essere stanco di prove. “I test pilota sono stati più che felicemente condotti e la tecnologia è sotto i nostri occhi”, dichiara spazientito Krock. “Non è una questione di progettazione, è solo una questione di finanziamenti e di avviamento”.

Krock, che ha fondato l’OCEES nel 1988 e poi lasciata, ha recentemente iniziato la raccolta dati per  una società con ambiziosi piani per la realizzazione di un impianto OTEC da 100 MW al largo delle coste dell’Indonesia. Il che genera energia elettrica per poi produrre idrogeno, un combustibile verde che potrebbe essere utilizzato veicoli. Krock afferma che dispone di un finanziamento di $ 800 milioni e che l’impianto potrebbe essere operativo entro 2 anni. Per Cohen, che ha anche aspettato per decenni la diffusione delle tecnologie OTEC, un grande impianto come quello di Krock sembra troppo, soprattutto per quanto riguarda l’accoppiamento ad una produzione di idrogeno, la cui struttura distributiva è ancora in gran parte insufficiente. “Le proporzioni del progetto potrebbero risultare rischiose”, avverte Cohen.

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Intanto la città di Toronto in Canada punta ad utilizzare l’acqua dal fondo del lago Ontario per raffreddare i suoi edifici. Makai Ocean Engineering ha recentemente progettato di costruire un sistema di raffreddamento che farà risparmiare 60 MW di energia elettrica quando sarà completamente collegato agli edifici nel centro della città di Waimanalo nelle Hawaii.

Il sistema funziona pompando acqua dall’oceano ad una temperatura di 4 ° C, da una profondità di 80 metri e poi spendendola agli edifici all’interno delle città attraverso 3 tubi,  di 5 Km di lunghezza. “L’energia termica dell’oceano sarò il grande premio, ma già l’acqua fredda potrà svolgere un ruolo importante nella riduzione del fabbisogno energetico, e questo si può realizzare già da subito”, conclude Reb Bellinger di Makai Ocean Engineering.

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