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Le compagnie energetiche americane puntano a rubare terreno a Gazprom in Europa mentre Vladimir Putin ordina ai giganti del petrolio russo di mantenere la produzione a 10 milioni di barili al giorno sfruttando il bacino di Bazheniv in Siberia per fronteggiare la “shale revolution” nordamericana.
Queste sono le avvisaglie del nuovo duello economico-strategico fra Washington e Mosca innescato dall’accelerazione dello sfruttamento del gas naturale situato a grandi profondità ed estratto con la tecnologia idraulica del “fracking“, che consente di raggiungere anche depositi di greggio finora considerati inarrivabili.
Se in dicembre la Cina ha superato gli Stati Uniti come primo importatore mondiale di greggio e tre Stati americani – North Dakota, Ohio e Pennsylvania – hanno prodotto assieme 1,5 milioni di greggio al giorno, l’equivalente dell’Iran, è a seguito della “shale revolution” che vede gli Stati Uniti accelerare l’impiego del “fracking” riuscendo a produrre gas e greggio in quantità tali da rendere verosimile il raggiungimento del traguardo dell’indipendenza energetica entro la fine del decennio.
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