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Il «signore del vento», come l’ha definito il Financial Times, dovrà rinunciare pure al suo grande catamarano bianco usato per le gite a Favignana, quando dal timone di comando ammirava, appagato, la costa e i promontori della provincia di Trapani puntellati dalle sue pale eoliche.
Ma non ha più né barca né pale. E nemmeno le 43 società dell’impero costruito, secondo la Dia, all’ombra di Cosa Nostra. E neppure i 98 immobili conteggiati fra ville e palazzine, terreni e fabbricati accumulati in trent’anni insieme con una quantità di conti correnti, depositi titoli, fondi di investimento pari, nel complesso, a una montagna alta quasi i miliardo e 300 milioni di euro.
Ecco il tesoro confiscato ieri a Vito Nicastri, 57 anni, un semplice elettricista, ma con un impero che spazia dalla Calabria alla Campania fino alla Lombardia, tanto da essere considerato il primo imprenditore italiano nell’eolico. Affari maturati, secondo i magistrati di Trapani e Palermo, nel magma mafioso dove affonda le sue radici l’imprendibile Matteo Messina Denaro, il superlatitante al quale «stiamo togliendo ossigeno», come dice fiero il direttore della Direzione investigativa antimafia, Arturo De Felice, pronto a dedicare questa operazione alla memoria di Antonio Manganelli, il capo della polizia che cinque mesi fa lo volle al vertice della nostra Fbi. Con società che spaziano in diverse regioni italiane, una anche con sede a Lussemburgo, miscelando rapporti d’affari fra suoceri, cognati e generi, la figura che di Nicastri emerge dai fascicoli giudiziari è quella di un genio del crimine finanziario capace di inventarsi un mestiere e coniare per sé un titolo originale, «sviluppatore di campi eolici».
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