Architettura della Vita e Architettura Vivente. [ PT. 1 ] Peter Macapia Oltre le Forme e lo Spazio: Viaggio nell’Architettura, nella Matematica e nella Fisica fra Natura e Artifico passando fra Vitruvio e Wittgenstein

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Bioarchitettura, Storie

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Pubblicato il giorno 09 dicembre 2008 - Nessun commento



   


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[ ► Architettura della Vita e Architettura Vivente. [ PT. 2 ] Peter Macapia Oltre le Forme e lo Spazio: Viaggio nell’Architettura, nella Matematica e nella Fisica fra Natura e Artifico passando fra Vitruvio e Wittgenstein ]

Peter Macapia è un designer ed un teorico dell’architettura. È il fondatore, direttore e progettista principale dell’Ufficio di Design per Ricerca ed Architettura (LABDORA) a New York. Peter ha studiato alla Scuola di Design di Rhode Island, la Harvard University e presso la Columbia University. Ha creato DORA nel 2002 come un ufficio per investigare problemi di geometria, design, informatica e materiali dopo aver finito il dottorato alla Columbia dove ha ricevuto il premio ‘Presidential Fellowships’.

Nel 1999 Peter cominciò ad insegnare alla Columbia architettura e ontologia e da allora ha insegnato a livello nazionale ed internazionale in istituti come il Sci-Arc, il Pratt Institute, il Parsons School of Design, l’Ecole Special d’Architecture, al Malaquais ed altre scuole. Il suo lavoro e i suoi appunti sono stati pubblicati a livello internazionale. Con i suoi progetti Peter Macapia ha vinto concorsi e ha collaborato con ingegneri da Ove Arup a Buro Happold e recentemente ha vinto il concorso per il Padiglione Seroussi e il suo progetto Dirty Geometry 1 e 2 sono stati acquisiti dal Centro FRAC in Francia. Attualmente sta lavorando al più importante progetto urbano a cui abbia partecipato: il Padiglione Dirty Geometry 1, in occasione di Performa, la Biennale internazionale d’arte e performance a New York.

I suoi interessi includono il problema della geometria nell’era dell’informatica, la geometria e la topologia delle relazioni fra energia e materia e la possibilità di creare una densità elastica nelle chiuse metropoli contemporanee. Peter ha inoltre vinto borse di studio dalla Columbia e dal  Pratt Institute per la sua ricerca riguardante la sostenibilità, l’architettura, e l’urbanistica concentrandosi in particolare sul fenomeno della densità, dell’architettura ibrida e delle infrastrutture connesse all’informatica avanzata.

Peter Macapia is an architectural designer and theorist. He is the founder, director, and principal designer of the Design Office for Research and Architecture (LABDORA) in New York.  Peter has studied at the Rhode Island School of Design, Harvard University, and Columbia University.  He started DORA in 2002 as an office investigating problems of geometry, design, computation, and matter after receiving his PhD from Columbia where he was the recipient of the Presidential Fellowships. In 1999 Peter started teaching at Columbia’s GSAPP on architecture and ontology and has since taught nationally and internationally at Sci-Arc, Pratt Institute, Parsons School of Design, the Ecole Special d’Architecture, Malaquais and other schools.  His work and writings have been published internationally. His design work has won distinction in competitions and he has collaborated with engineers from Ove Arup and Buro Happold. Peter recently won the Seroussi Pavilion design competition and his project Dirty Geometry 1 and Dirty Geometry 2 were recently acquired by the FRAC Centre in France.  Currently he is working on his first major urban project, Dirty Geometry Pavilion 1, for Performa, the international biennial of performance art in New York City.  His interests involve the problem of geometry in the age of computation, the geometry and topology of matter/energy relations, and the possibility of an elastic density in the contemporary metropolis.  Peter was been awarded a grants from Columbia University and Pratt Institute to research sustainability, architecture, and urbanism focusing on density, hybrid architecture and infrastructure, and advanced computation.

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  • Daniel Casarin: A tuo avviso come è possibile definire l’architettura come “sostenibile”, o meglio che cosa la definisce?
  • Daniel Casarin: In your view how can “sustainable” architecture be defined or what defines it?

Peter Macapia: L’architettura sostenibile non è cosa nuova, almeno in concetto. Se leggerai l’inizio dell’opera principale di Vitruvio lì troverai già alcune delle prime preoccupazioni, si parla molto sulla salute ad esempio nella “posa” di un palazzo, quindi magari la domanda: che cosa definisce l’architettura sostenibile oggi, pone una problematica globale e rappresenta un punto caldo che connette fra loro: risorse di energia, la politica e l’urbanistica.

L’architettura sostenibile non è più un movimento locale come negli anni ’70 (quando si presentava una prima crisi energetica) e non ha un’ideologia politica di per se (il consumo di energia e la sua legislazione negli USA come in altre nazioni è chiaramente politica ma l’idea della progettazione sostenibile non sembra esserlo). Questo è un fatto, invece un altro punto che riguarda l’architettura sostenibile secondo la mia opinione è rappresentato dall’urbanistica. Oggi abbiamo la metà della popolazione del mondo che abita in città e metropoli e questa trasformazione crea e creerà un impatto davvero notevole. Questo è il mio secondo punto: questo spostamento nella demografica mette sotto pressione il consumo energetico e le città, ma chiaramente questo non è il limite, non dovrebbe essere un moda e sicuramente non si tratta di un nuovo stile di vita, è un’equazione ed è parametrica. Questo vuol dire che qualunque cosa che progettiamo deve avvolgere tutta una serie di variabili.

Ho dei colleghi, alcuni dei quali detestano l’idea della sostenibilità e sono fra i più intelligenti e radicali progettisti, altri sono assolutamente entusiasti, questo per me è scandaloso, non c’è motivo per trattare il tema da un punto di vista ideologico e farlo è semplicemente stupido. Forse si può pensare che alcuni temano che in qualche modo il fatto comprometta qualche concetto purista ma l’essenziale sta nel metodo di progettazione. Quando ho cominciato a lavorare su questo settore, intorno a quattro anni fa alla Columbia University, ero responsabile di creare una sovvenzione di circa un quarto di milione di dollari per combinare la ricerca in campo ingegneristico con il design. Ai tempi c’era forse un corso che trattava temi di sostenibilità nell’architettura, da allora ogni corso di progettazione si è tinto in qualche modo di una qualche forma di ecologia e sostenibilità, quello rispecchia la notevole trasformazione di pensiero, quindi è un principio di progettazione sia che ci piaccia o no, veramente non abbiamo scelta, e questo è il mio terzo punto: l’architettura sostenibile non potrà mai più scomparire.

Il mio ultimo punto riguarda le tecniche di progettazione. Forse questa è la cosa più importante: la sostenibilità ha a che vedere con la geometria e la topologia delle relazioni fra materia ed energia. In altre parole, geometria e topologia sono interne a qualsiasi cosa facciamo e creiamo come progettisti ed è l’unico modo in cui il design evolve o cambia in relazione a quello che noi chiamiamo sostenibilità. Ciò che voglio dire è questo: un progetto deve coordinare le relazioni e gli strumenti grazie alla geometria e alla topologia.

Quindi non si tratta solo di metrica, e gli aspetti quantificabili di tutto ciò o le misure o i volumi o i materiali, ma come questi valori sono coordinati fra loro con altri valori. Guardate il progetto di Hannes Meyer per il concorso Peterschule o quello di Bernard Tschumi, Le Fresnoy. Qui vedete la topologia, il continuo rapporto fra diversi codici geometrici che emergono in una soluzione di tremendo potere perché reinventano il design ed è cosi che dovremmo utilizzarlo. Il termine sostenibile non dovrebbe essere una meta ma un punto di partenza per ripensare il design – no modificarlo- ma ripensarlo da dentro, dalle profondità delle tecniche che danno al design la sua intensità. Il concetto di sostenibilità è un problema di pressione e intensità. Il design dovrebbe reagire ad essa non passivamente ma con inventiva per questo l’architettura sostenibile non dovrebbe pensarsi come una soluzione ma proprio come punto di partenza.

Peter Macapia: Well, it’s not new, not in concept at least. Look at the very beginning of Vitruvius and you will find that amongst the first concerns we read a lot about health for example, in the sitting of a building.  So maybe the question is what defines it now because it is a global concern and it is one point in a network of global relations that connect energy resources, policy making, and urbanism.  Its not a local movement anymore as it was during the 70s (when there was an energy crisis) and it doesn’t really have a political ideology attached to it per se (energy consumption and policy making in the US is of course political, but the idea of sustainable design doesn’t seem to be).  So that’s one thing.

The other thing is that in my opinion it is really about urbanism – it’s about cities. I mean now we have half the worlds population living in cities of 1 million or more.  That’s not just interesting and unique and different etc. That’s a major transformation of great magnitude. So that’s my second point: the demographic shift places a tremendous pressure on energy consumption and cities.But clearly that isn’t the limit.  It shouldn’t be a movement and it certainly isn’t a style. It’s an equation. It’s parametric. And that only says that whatever we design has to fold into it another set of variables. I have colleagues some of whom really detest the idea of sustainability and they are among the most intelligent and radical designers and others that are completely for it.That’s somewhat shocking to me. There’s no reason to treat it ideologically. hat’s plain stupidity.Maybe they fear it compromises some essentialist purist concept of design,  when I started working on this maybe four years ago at Columbia University I was responsible for creating a grant for about a quarter of a million dollars to combine engineering and design research.  At that time there was maybe one course that dealt with sustainability in architecture. Since then every design course has in a sense folded into itself features of ecology and sustainability.

That’s an affect of major transformation in thinking. So actually, it’s a principal of design now whether we like it or not.  We don’t really have a choice. That’s my third point. It won’t go away.  My final point is that where it affects design.  This has to do with the techniques of design.  So this is maybe the most important thing: sustainability has to do with the geometry and topology of matter/energy relations.  In other words, geometry and topology are internal to anything we do as designers and the only way in which design evolves or changes in relation to what we call sustainability occurs at that level.  What I mean is this, a design has to coordinate relations and the tools are geometry and topology. And so it isn’t just the metric, the quantifiable aspects of this or that size or volume or material etc but how those values are coordinated with other values.  Look at Hannes Meyer’s Peterschule competition entry or Bernard Tschumi’s Le Fresnoy.  Here you see topology, the continuous relation between different geometric codes emerge into a solution of incredible power because they reinvent design, and that’s how we should use it.  The term sustainable shouldn’t be a goal, it should be a starting point for rethinking design – not modifying it.  But rethinking design from within, from the depths of techniques that give design its intensity.  Sustainability is a problem of pressure, its an intensity.  Design should react to it not passively but rather inventively – it really shouldn’t be thought of as a solution.

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  • Daniel Casarin: Uomo, spazio, geometria, architettura ed energia, che cosa credi che unisca questi elementi oltre al fatto di appartenere ad un “ambiente”?
  • Daniel Casarin: Man, space, geometry, architecture and energy, what do you think binds these elements together other than the fact of belonging to one environment?

Peter Macapia: Questa è una bella domanda; perché queste cose dovrebbero essere collegate? Sono naturalmente collegate? Sono essenzialmente collegate o sono soltanto un fatto della storia? Esistono forme di pensiero alternative come Bataille e il suo glorioso e distruttivo completo dispendio di energia, o Robert Smithson, l’artista a cui piaceva veramente l’idea della dissipazione di energia. È una domanda complicata! Se esco e vado a vedere le cascate di Oliason nella città di New York o guardo la sua luce massiva al Tate, queste sono opere che richiedono molta energia, ma l’effetto economico di questo a molto valore. La città di New York credeva che il turismo generato dalle cascate avrebbero generato milioni e milioni di dollari, quello è un principio sostenibile ma ci mostra ugualmente che il valore della sostenibilità non deve essere intrinseco all’oggetto ma piuttosto nelle relazioni che nutre (o muta o abbandona). Questo è l’identico fatto che riguarda l’eco-turismo.

Ciò che è sostenibile è il fatto che le parti sono correlate una con l’altra e hanno una certa intensità di esistenza. Se dovessi sprecare molta energia per generare un atteggiamento dinamico e critico quello credo sarebbe assai importante. Il design e l’arte devono puntare ad inventare nuove, intense e critiche relazioni fra quei termini che hai menzionato, ma per quale risultato? Per creare un ambiente, noi inventiamo ambienti, e un ambiente è il fatto fisico di “essere” da qualche parte oltre all’esperienza di “esserci”. Quando Walter Benjamin speculava sul modernismo e la teratrasformazione della cultura, fra arte tecnologia e l’essere politico, Benjamin infatti non era sicuro se il media del ventesimo secolo sarebbe stato un film o l’architettura, perché in realtà lo diventeranno entrambe cambiando la cultura in maniera sostanziale.

Peter Macapia: This is a good question; why should these things be related? Are they naturally related?  Essentially related or just a fact of history?  There are alternative forms of thought here: Bataille and the complete glorious and destructive expenditure of energy, or Robert Smithson, the artist who really like the idea of the dissipation of energy. It’s a complicated question. If I go out and see Oliason’s waterfalls around New York City or if I see his massive light at the Tate, this is an artwork that intensively requires energy.  But, the economic effect of this is highly valuable. New York City thought that the tourism generated by the waterfalls would generate millions and millions of dollars.That’s a sustainable principal.  But it also shows us that the value of sustainability doesn’t have to be directly embedded in the object as such but rather the relations it fosters (or mutates or abandons). This is the same as ecotourism.

The thing that is sustainable is the fact that the parts related to one another have a certain intensity of existence.  If you had to waste energy intensively to generate a dynamic and critical attitude that would be I think massively important.  Design is really the art of inventing new and intense and critical relations between those terms you mentioned.  But the outcome?  It is an environment, we invent environments. And an environment is the fact of being somewhere and the experience of that.  When Walter Benjamin speculated on modernism and the teransformation of culture, art, technology and political being he wasn’t sure whether the medium of the 20th century would be film or architecture. And actually it’s both.  These are the two things that have massively changed culture.

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  • Daniel Casarin: Progettare uno spazio interno o esterno nella tua esperienza cosa significa? Che tipo di peculiarità richiede e quali suggerimenti daresti?
  • Daniel Casarin: To design a space internal or external in your experience what does it mean? What kind of peculiarities does it require and what suggestions could you give?

Peter Macapia: Io comincio con un problema molto specifico, come la luce, o la ventilazione, o la circolazione  di mezzi e persone; non comincio mai da una forma o da una misura, quei problemi li lascio emergere da un sistema o una metodologia che voglio creare mentre progetto. Ogni volta voglio inventare una nuova metodologia – non uno stile, quello sempre emerge da solo. Ma allo stesso tempo voglio che il problema all’inizio sia ristretto, a fuoco, ridotto, assolutamente specifico ad una situazione architettonica specifica. Quante categorie possono costituire l’ontologia architettonica? Bene, quello sembra sempre cambiare, spostarsi, ma cose come il sito, involucro, luce, spazio, struttura, meccanica, ecc, queste credo insieme alle caratteristiche del mio progetto sono alcuni degli elementi essenziali e credo che sia necessario cominciare con uno solo. Da questo primo punto cerco di inventarmi un principio diagrammatico, qualcosa che abbia la flessibilità e molteplicità di una rete, un’organizzazione che man mano scopro più potenziale e dove scopro anche un maggior numero di possibilità delle mie tecniche.

Ad un certo punto la natura dell’organizzazione prende una nuova logica, un nuovo senso e comincio a guardare l’organizzazione della materia in un altro modo, diventa attiva, la fai diventare attiva, la fai diventare generativa. Anche se hai cominciato solo con un’area, trovi dei modi per estrapolare da quella tecnica e da quella organizzazione iniziale nuove possibilità per altre categorie e quindi cominciano a relazionarsi in modo diverso. La fattoria è un esempio concreto di questo lavoro. Avevo cominciato ponendomi la domanda su come organizzare, filtrare e contenere l’acqua piovana e della neve sciolta, da lì sono derivati una serie di diagramma e cosi ne è derivata una logica geometrica, molto presto però, questo lavoro mi ha portato ad un problema topologico mentre progettavo l’involucro che a suo tempo faceva parte di quel diagramma. Anche la struttura – dove l’ondulazione del soffitto è una sorta d’origami strutturato da se.

Quindi alla fine costruisci un nuovo progetto attraverso la scoperta e la creazione di queste continuità, la forma e il risultato di questo processo è intrinseco all’elaborazione e trasformazione delle tecniche. Senza l’analisi computazionale delle pendenze e lo schema della filtrazione dell’acqua e senza l’interesse simultaneo nel trovare nove logistiche organizzazionali, non avrei potuto progettare ne creare la geometria, ne avrei potuto scoprire nuove relazioni topologiche fra le categorie che definiscono l’edile. Un aspetto cruciale di tutto questo e che la somma totale di tutte queste operazioni e la generazione di una nuova tipologia di spazio, un nuovo diagramma dello spazio. Io sento sempre come se non si potesse progettare lo spazio direttamente, puoi soltanto reinventarlo come un effetto, questa e la parte più sfuggente dell’architettura.

Peter Macapia: I start with one very specific problem, like light, or ventilation, or circulation – I never start with form, or size.  I let those emerge out of a system or methodology I want to create as I design.  I always want to invent a new methodology – not style, that always emerges on its own.  But at the same time I want the problem to start narrow, focused, reduced, absolutely specific to an architectural situation.  How many categories make up architecture’s ontology?  Well, that always seems to change, to shift, but things like site, envelope, light, space, structure, mechanicals, etc.

These I would say along with program are some of the elements. And I think it is necessary to start with only one.  From there I try to invent a diagrammatic principle, something that has the flexibility and multiplicity of a network, an organization and as I discover more and more potential I am also discovering more and more about the possibilities of my techniques.  And at some point the nature of the organization takes on a new logic, a new sense.  And you begin to look at the organization of matter in a new way, it becomes active, you make it active, you make it generative.  But even though you begin with only one area, you find ways to extrapolate from that technique, from that initial organization new possibilities for the other categories, and so they begin to relate to each other also in a new way. The Ranch house is an example of this.  I started with the question of how to organize, filter, and contain water from runoff and snow melt.  That began a series of diagrams.

And I could derive a geometrical logic from that. But soon that gave way to a topological problem of designing the envelope, which was then folded into that diagram.  Structure also – the rippling in the roof is a kind of origami fold which structures itself. And so in the end you build up a new design through finding and creating these continuities.  Form is the result of this process.  Its embedded in the elaboration and transformation of techniques.  Without the computational analysis of gradients and water filtering pattern and without the simultaneous interest in finding new organizational logics, I could not have designed nor created the geometry, not could I have discovered new topological relations between the categories that define a building.  A crucial aspect to this is that the sum total of all these operations just is the generation of a new kind of space; it’s a new diagram of space.  I always feel as though you can’t design space directly.  You can only reinvent it as an effect.  It’s the most elusive thing in architecture.

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  • Daniel Casarin: Come potresti spiegare il fatto che i tuoi modelli sono cosi organici mentre derivano (profondamente) da complicate serie di algoritmi? Quali criteri riesci ad applicare alla loro “crescita”?
  • Daniel Casarin: How would you explain the fact that your models are so organic being derived from algorithms? What kinds of rules or criteria are you able to apply to their ‘growth’?

Peter Macapia: In realtà gli algoritmi sono profondamente all’interno di tutti i miei progetti, ma non sono sempre esplicitamente utilizzati. Ad esempio, in una serie di progetti recenti per un grattacielo di struttura leggera ho utilizzato un algoritmo per generare la struttura in quel momento stavo esplicitamente generando codici per provare il sistema strutturale mentre emergeva, tuttavia, ho utilizzato l’analisi dell’elemento finito che, anche se utilizza algoritmi per risolvere equazioni non determina direttamente l’espressione strutturale tranne che in modo obliquo. Credo che la consistenza della qualità geometrica, come la chiami tu, organica, è il risultato dell’enfasi che pongo sulle singolarità come momenti intensi di comportamento materiale. Le singolarità indicano un momento di cambiamento e di trasformazione nel comportamento di un sistema, esprimono la convergenza delle pressioni che inducono la riorganizzazione. I cristalli nei minerali crescono anche loro nello stesso modo, quindi non è una pressione estetica quella di fare qualcosa di naturale o che sembri naturale.

Credo che l’unico problema ideologico della sostenibilità si incontri quando la gente enfatizza la natura come u principio con la N maiuscola. Certamente abbiamo molto da imparare dalla natura ma quello non è il punto. Credo che la differenza fra il naturale e l’artificiale sia un dibattito vecchio e banale oggigiorno. Di recente ho realizzato un allestimento intitolato “Il comportamento Naturale ed Artificiale”, si trattava di forme di generazione che sono computazionali in due sensi; da una parte porzioni del mio lavoro che implicano algoritmi in un modo computazionale binario e dall’altro investigazioni materiali anche loro computazionali. E in questo senso ho fatto una scoperta davvero incredibile: si potrebbe infatti descrivere gli esperimenti di Gaudì con questa modalità che ho studiato.

Esistono due diagrammi: uno mostra un sistema computazionale dove l’algoritmo consiste una regola topologica per connettere le linee, quando introduci una variabile dalla fisica, il sistema modifica continuamente il prodotto e quello che si ottiene è una geometria che cambia costantemente mentre si sviluppa l’algoritmo attraverso il set di regole. L’altro diagramma è un campo di punti casuale che si uniscono tramite un algoritmo. In questo caso puoi ripetere lo stesso set di punti all’infinito ed applicare ad ognuno un algoritmo diverso per connetterli. Poi quando si introducono le variabili di gravità e cosi ogni set di regole si crea una rete diversa. Questo è simile alla ricerca dello spazio genetico per l’ottimizzazione. In ogni caso stai computando dei risultati. Se ciò può essere considerato “organico”, sì, ma assomiglia più alla chimica organica, non ad una logica visuale imposta.

Peter Macapia: Actually, algorithms underlie everything, but they aren’t always explicitly used.  For instance, in a series of recent designs for a light structure sky scraper I used an algorithm for generating the structure and there I was explicitly generating codes to test the structural system as it emerged, however, I used Finite Element Analysis which although it uses algorithms to solve equations does not directly determine the structural expression except in an oblique way.  I think the consistency of the geometric quality, as you call it organic, is a result of the emphasis I place on singularities as intense moments of material behavior.  Singularities indicate a moment of change and transformation in the behavior of a system.  They express a convergence of pressures that force reorganization.  Crystals also grow, so it isn’t an aesthetic pressure to make something natural or natural looking.

I think that the only ideological problem with sustainability is when people emphasize nature as a principle with a capital N.  Sure there’s a lot to learn from nature, but it isn’t the point.  I think the difference between the natural and the artificial is an old and right now unimportant debate.  I recently had an exhibition which I titled natural and artificial behavior.  It was about forms of generation that are computational in two senses; on the one hand parts of my practice that involve algorithm in a binary computational way and on the other material investigations that are also computational.  I made an amazing discovery; one could actually describe Gaudi’s experiments in exactly this way.

There are two diagrams: one shows a computational system in which the algorithm consists of a topological rule to connect lines, when you introduce a variable from physics, the system continually modifies its output and you get a constantly shifting geometry as you run the algorithm, when you run the rule set.  The other diagram is a random field of points which you connect with an algorithm. In this case you can repeat the exact set of points endlessly and apply to each a different algorithm for connection.  Then when you introduce the variables of gravity each rule set yields a different network.  This is akin to a genetic search space for optimization. Either way you are computing the results.  Is that organic?  Yes, but its more like organic chemistry; it’s not an imposed visual logic.

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