L’Etanolo da Cellulosa è Realmente Sostenibile? Le Nuove Frontiere dei Biocarburanti da Cellulosa, fra Ingegneria Genetica e Politiche dell’Innovazione

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Energia, Energie rinnovabili

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Pubblicato il giorno 19 maggio 2009 - Nessun commento



   


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Mascoma ha annunciato numerose interessanti anticipazioni che possono portare ad un più economico ed efficiente processo di trasformazione di biomassa in etanolo. Utilizzando gli stessi enzimi della birra grazie ad una nuova tecnica di ingegneria genetica si trasforma la cellulosa in etanolo direttamente da fonti quali mais, trucioli di legno e pasta di carta. Finora il processo multistep per trasformare l’etanolo cellulosico da fonti come trucioli di legno e pasta da carta necessitava di numerose sostanze aggiuntive e piuttosto costose, oltre a tutti i processi di lavorazione in diverse vasche, ciascuna con le proprie fasi e prodotto finale che veniva poi trasferito alla lavorazione successiva. L’intero processo risultava ancora così costoso e inefficiente. Ora Mascoma, è riuscita significativamente a migliorare questo processo nel suo obiettivo di semplificare la produzione di etanolo cellulosico. Diretta conseguenza spiega la società è la riduzione dei costi dal 20 al 30% del nuovo biocarburante di 4° generazione.

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Addentrandoci meglio, la tecnologia esistente per la produzione di etanolo da cellulosa comporta un processo multistep: la cellulosa mescolata ad enzimi viene scomposta in zuccheri. Successivamente questo unito ad altri lieviti riprende a fermentare gli zuccheri e trasformarli in etanolo. Come alternativa meno costosa, i ricercatori di Mascoma ha cercato di unire le due fasi del processo: la degradazione della cellulosa e al conversione degli zuccheri in etanolo. La società afferma addirittura che a breve grazie a questi microrganismi si potrà produrre una quantità di etanolo sufficientemente elevata da abbattere i costi di produzione della metà.

La Mascoma sta studiando tre potenziali organismi per la produzione di etanolo: due tipi di batteri, ed un ceppo di lievito. I C. thermocellum e il T. saccharolyticum sono batteri in grado di resistere a temperature elevate come quelle sperimentate nei reattori. I ricercatori così sono stati sempre interessati ad entrambe i ceppi batterici per anni a causa della loro naturale capacità di convertire la cellulosa automaticamente in zuccheri e fermentarli in etanolo. Tuttavia, questi ceppi producono livelli molto bassi di etanolo. Il fattore limitante riguarda i loro sottoprodotti: entrambe i batteri trasformano la cellulosa in glucosio e altri zuccheri come xilosio. Gli scienziati infatti hanno scoperto che questi batteri sono inibiti e fermati nella loro crescita dalla presenza di livelli elevati di etanolo.

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Al fine di ottimizzare le prestazioni di batteri e aumentare il rendimento della produzione di etanolo, i ricercatori di Mascoma hanno modificato geneticamente il metabolismo dei ceppi dei batteri in modo che essi siano in grado di fermentare senza problemi lo xilosio, senza l’aiuto di enzimi aggiunti. Infine, gli scienziati hanno sviluppato al meglio i batteri affinché potessero abbattere elevate quantità di cellulosa e produrre al meglio etanolo in modo efficiente. Frances Arnold, professore di ingegneria chimica e biochimica presso il California Institute of Technology e membro del comitato scientifico di Mascoma, afferma che la società a breve termine punterà direttamente ad applicazioni commerciali. La società ha iniziato a testare tutti e tre i microbi presso un impianto pilota nei pressi di New York e si prevede la commercializzazione entro il 2010.

Jef Sharp di Qteros, un’altra start-up che punta a trasformare la cellulosa direttamente in etanolo grazie a microbi ingegnerizzati, afferma che Mascoma ha raggiunto risultati significativi. “Ogni progresso è buono e necessario”, afferma Sharp. “Riteniamo che sia importante per l’industria rendersi conto che è probabile che la tecnologia di conversione della cellulosa direttamente in etanolo possa essere davvero conveniente.”

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Già il Guardian afferma che i biocarburanti cellulosici possono in definitiva essere migliori rispetto a quelli di prima e seconda generazione ma bisogna fare molta attenzione. “Grandi distese di foreste naturali, boschi e prati saranno convertite ad uso alimentare o per la produzione di cellulosa per biocarburanti“. Entro il 2050, la terra dedicata alle colture cellulosiche si calcola che potrà raggiungere l’11% del totale della terra. Molte zone perderebbero dal 20 al 70% dei loro habitat naturali, con conseguenze catastrofiche soprattutto negli ecosistemi semitropicali e tropicali per produrre elevate quantità di biomassa. In termini di emissioni di CO2 da utilizzo del suolo per produrre biomassa, uno studio del MIT afferma che il passaggio ai biocarburanti cellulosici dovrebbe aggiungere CO2 nell’atmosfera e che sarebbero necessari 50 anni di uso di questi combustibili per compensare questo fattore. Vi è poi la questione della biodiversità.

C’è chi afferma che “l’enigma dei biocarburanti” potrebbe essere solo sciolto da un loro leggero utilizzo semplicemente in piccole quantità. E’ necessaria una maggiore efficienza energetica dei nostri prodotti e scelte di vita che utilizzano quantità sempre minori di energia, oltre a cambiamenti strutturali nelle nostre città. Possiamo finire calpestando la biodiversità, in nome dei biocarburanti? Dopo lo studio del MIT anche Jason Clay del WWF. “La reazione contro i biocarburanti è stata piuttosto feroce e possiamo dire che hanno perso in generale molto della loro immagine verde” afferma Clay. “Obama nei suoi progetti vede un futuro radioso per i biocarburanti di origine cellulosici. Alcuni addirittura dipingerebbero l’immagine di un futuro alimentato da rifiuti di segatura, ritagli di erba e bucce di mais. Qualcuno azzarda addirittura che entro il 2022, gli Stati Uniti da soli potrebbero produrre più di 75 miliardi di litri di etanolo cellulosico in un anno. Gli esperti dicono che sarà necessario spendere decine di miliardi di dollari in ricerca e sovvenzionare le imprese dedicando loro decine di milioni di ettari di terreno per la produzione di biomassa”. Di qui il nostro dubbio.

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