Se la Fattoria è Sociale. La Piccola Agricoltura Contro il Latifondismo e le Multinazionali. L’Agricoltura Sociale Italiana: geografia di un altro mondo possibile e sostenibile

Scritto da Redazione - GenitronSviluppo.com in Ambiente

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Pubblicato il giorno 05 settembre 2008 - Nessun commento



   


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Articolo di Massimo Acanfora tratto dal numero 73 della rivista Altraeconomia: L’informazione per agire

Non solo latifondi: in Italia esiste un’altra agricoltura. È quella solidale, fatta di piccoli produttori, dove trova spazio anche chi non ha posto nel mercato del lavoro. Un’economia diversa  che passa attraverso mutua solidarietà e tutela del territorio, e approda alla difesa della sovranità alimentare, al recupero di specie antiche, ai Gruppi d’acquisto solidali.

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“Settore primario”, si leggeva nei vecchi testi di geografia: oggi la definizione di agricoltura sembra il nome di un’era geologica. L’economia è cambiata. Le imprese agricole in Italia sono meno di un milione, solo un sesto del totale (dati 2004), ben lontane dai numeri di industria e commercio, occupano appena il 5% della forza lavoro.

Eppure la terra resta ancora “primaria” per l’economia, in particolare per quella sociale e solidale. Vi sono radicati antichi valori immateriali e fondamentali, come la tutela delle tradizioni, del territorio e dell’ambiente, la mutua solidarietà tra persone, l’idea di comunità; e vi attecchiscono nuovi valori e urgenze, come la salvaguardia della sovranità alimentare, della biodiversità -una parola che il dizionario di Word non conosce ancora-, della salubrità dei prodotti e della trasparenza verso chi li consuma.

Il tempo non ha cambiato altre cose. Non è mai finita la lotta politica, di piazza, anche estrema, di chi coltiva la terra, la rivolta dei “piccoli” contro un “nuovo latifondo”, ovvero le politiche che favoriscono l’agricoltura industrializzata, la standardizzazione dei coltivi e dei semi, e -su più larga scala- contro la globalizzazione che sconvolge gli equilibri alimentari del pianeta.

Ma la lotta è fertile anche su altri terreni e con intensità diverse. In Italia c’è un’altra agricoltura. Un’agricoltura sociale e solidale dove trovano spazio e benessere le persone che faticano a ritagliarsi un posto nel mercato del lavoro. Contadini che custodiscono i semi o le varietà antiche e locali e preservano il territorio dallo spopolamento e dalla industrializzazione. Che fanno scuola, cultura, politica. Un’agricoltura che fa perno su nuovi stili di consumo e su consumatori a cui l’etichetta “biologico” non basta già più. Sono quelli della filiera corta, la nuova relazione tra produzione e consumo che trova nei Gruppi d’acquisto solidali la miglior espressione. E questo è il nostro viaggio.

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L’agricoltura sociale? È bilingue. Andreas Schiner è capoprogetto  di “Sägemüllerhof”, il maso-fattoria dei servizi sociali della Comunità Comprensoriale Val Pusteria, di Gais (Bz), dove vivono e lavorano una ventina di persone con disturbi psichici. Un esempio di come la zappa possa funzionare meglio del Prozac.  “La varietà di mansioni e cicli lavorativi, le responsabilità piccole e grandi, lo stretto legame con la natura permettono di sviluppare la consapevolezza di sé e l’autonomia delle persone -spiega Shiner-.

Il lavoro in agricoltura segue i ritmi dell’anno, delle stagioni, della natura. “Un lavoro con un ‘senso fondamentale’, che si spiega da solo -spiega Shiner-. Le persone con cui lavoriamo hanno bisogno di una motivazione e di un senso profondo di quello che fanno”.

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Un importante riconoscimento all’agricoltura solidale è venuto dal Piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale approvato dal governo: “… attenzione particolare meritano… le persone in situazioni di disagio e di esclusione. Sotto questo profilo una tendenza  che appare interessante promuovere e sostenere è quella legata alle imprese produttive, anche agricole, e di servizi che operano nel campo dell’agricoltura sociale:, di cui esistono oggi esperienze validissime da prendere come riferimento…”.

Una tendenza recepita dalla rete delle “fattorie sociali”, luoghi dove la terra è solido ponte tra disabilità e lavoro. Cooperative d’inserimento lavorativo, comunità terapeutiche, progetti di Asl e altri enti, orti nascosti nelle carceri o giardini nelle case di riposo, casi di terapia orticolturale, ormai diffusi in tutta Italia. Spiega Saverio Senni, docente all’Università degli studi della Tuscia di Viterbo, promotore di un master in agricoltura etico-sociale, che ha appena sfornato i suoi primi 15 pupilli: “L’agricoltura contadina non conosceva i ‘disabili’. Tutti erano a loro modo abili, quali che fossero il loro livello culturale o le condizioni mentali. Le piante e gli animali non discriminano nessuno, non si voltano dall’altra parte e crescono sane chiunque le accudisca”.

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In Italia oggi le fattorie sociali sono tra 200 e 300, soprattutto in Toscana e Lazio. Fa parte della rete l’esperienza della Casa circondariale di Velletri (Roma). “Per un detenuto -ci spiega Marcello Bizzoni, enologo e capo cantina della cooperativa Lazaria- lavorare significa poter esaudire piccoli desideri che in cattività sembrano primari, spezzare la monotonia.

L’autosufficienza accresce la sicurezza interiore, che è la base di un vero recupero”. Il numero dei detenuti al lavoro nelle carceri italiane nel settore agro-alimentare è basso: 471 persone, lo 0,8% dei 59 mila reclusi. Ma le 27 esperienze censite dal ministero hanno valore sociale e solidità commerciale: dalla cooperativa di panificatori attiva nel carcere di Opera (Mi) che fornisce il pane alle mense scolastiche della città, all’orto del carcere femminile della Giudecca a Venezia le cui verdure “evadono” all’esterno.

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  • Giustizia sociale fa rima con legalità

Nella lotta alla mafia è l’aratro che traccia e difende il solco: 440 ettari di terre in Sicilia e Calabria, confiscate ai boss grazie alla legge 109/1996. Il prodotto-simbolo dell’associazione Libera -che ha promosso 5 cooperative agricole e di trasformazione- è la pasta fatta con il suo grano: “Un tramite fortissimo per far conoscere il nostro nome e il nostro lavoro -spiega Gianluca Faraone della cooperativa Placido Rizzotto-: i maccheroni sono diventati l’emblema dell’impegno sulle terre confiscate”. E senza bisogno di ponti sullo Stretto, è passato in Calabria il buon contagio della cooperazione e della resistenza ai poteri forti.

“Il nostro obiettivo è generare ‘bellezza sociale’ -dice Teresa Pirritano del consorzio di cooperative Goel-. L’agricoltura ha un ruolo fondamentale nello sviluppo del Sud, perché è tradizione e originalità, va superato il pregiudizio che la collega alla povertà”. Il vino e i piccoli frutti della coop Valle del Bonamico, a San Luca in piena Locride, sono il simbolo di questa speranza, che resiste alle intimidazioni e agli attentati. Una sfida forte: “Il bene non è quasi mai professionale -commenta Teresa- la criminalità sì”.

E dal Sud riparte un’altra agricoltura sociale:, quella che mette le mani nelle zolle della politica per difendere i “piccoli” e la cosiddetta agricoltura contadina: Foro contadino-Altragricoltura, movimento che si batte per i “diritti della terra”, l’accesso alla terra, ai semi, all’acqua e ai mezzi produttivi, organizza anche nel 2006 la “Marciasud per Altragricoltura, Beni comuni e Sovranità alimentare”, una carovana che percorrerà il Meridione, dalla Sicilia alla Puglia. Gli obiettivi? La richiesta conclusiva della marcia 2005 è eloquente: no all’agricoltura come pura competizione di mercato, garanzia che i contadini partecipino alla scelta del modello di produzione, distribuzione e consumo del cibo per il proprio territorio.

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Sägemüllerhof è un maso-fattoria dove abitano e lavorano, tra laboratori, agricoltura ed economia domestica, malati psichici dai 16 ai 60 anni, insieme a educatori dalla spiccata propensione al lavoro dei campi. L’inserimento nell’attività di agricoltura biodinamica è graduale: dopo una fase di “allenamento” al lavoro, posti di lavoro protetti, fino al reinserimento vero e proprio in un lavoro esterno.

Dal lavoro nei campi alla tenuta di animali, dalla produzione di compost alla lavorazione di tappeti, al pane casereccio. Si produce prima di tutto per il consumo interno della casa e poi per la vendita allo spaccio: pane, uova, cereali, verdura e prodotti artigianali, come materassi di lana, cuscini, pantofole di feltro.

La piccola cooperativa, denominata “Lazaria”, la contrada dove sorge la casa circondariale di Velletri, è nata nel luglio 2003. Gestisce in convenzione la cantina del carcere. Il “Fuggiasco” è stato il primo e fortunato vino prodotto da detenuti. L’azienda agricola “interna” occupa una dozzina di detenuti sui 350 della Casa circondariale di Velletri. Consta di un apiario, 3.500 metri quadrati di serre riscaldate, 600 piante da frutto e un laboratorio conserviero, 400 olivi, con tanto di frantoio, oltre 3 ettari di vigneti d’uve bianche Trebbiano Toscano e Malvasia di Candia, uve rosse Merlot, Sangiovese e Cabernet e una cantina da 50 mila bottiglie dotata di sistemi di vinificazione per produzioni d’alta qualità.

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Le terre confiscate alla mafia sono affidate alle quattro cooperative sociali di Libera e a un’associazione: in Sicilia la “Placido Rizzotto” (S.Giovanni Iato, con agriturismo), la cooperativa “Lavoro e non solo” (Corleone e Canicattì), la cooperativa “NoE” (Partinico); l’associazione “Casa dei Giovani” (Bagheria) e la cooperativa “Valle del Marro” (Piana di Gioia Tauro)
in Calabria.

Le aziende che partecipano a Libera Terra producono, con metodo biologico, olio, pasta, ortaggi, vino, passata di pomodoro, miele, marmellate, farina di grano duro, mandorle, caponata di melanzane, fichi d’india, legumi, sapone da olio, pesto di peperoncino e altro. I prodotti sono distribuiti attraverso Ipercoop e Coop, le Botteghe del commercio equo e solidale, nei negozi biologici e attraverso i Gruppi d’acquisto solidali.

Urupia si autodefinisce “laboratorio sociale dell’utopia”. Una comune libertaria, forse l’unica oggi, nata nella penisola salentina negli anni ’90 per iniziativa di giovani locali e di tedeschi. 12 persone, che si autodefiniscono tutte “comunarde”, alla faccia di un mondo declinato al maschile che vivono e lavorano in un lembo di terra nei pressi di Francavilla Fontana (Br).

Beni in comune, metodo del consenso, totale autogestione, vita spartana. La produzione di vino, olio (ottimo), prodotti da forno, trova gli acquirenti ideali nei Gruppi d’acquisto solidali e negli amici tedeschi. Chi chiede di entrare nella comune passa al vaglio di un periodo di prova. Si può anche essere ospiti di Urupia, contribuendo alle spese e lavorando. Info: tel. 0831-89.08.55

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Il consorzio di cooperative Goel ha una parola d’ordine: cambiare la realtà produttiva per cambiare la Calabria. Nasce dall’intuito del vescovo trentino di Locri, Monsignor Brigantini. 13 cooperative sociali di servizi e di inserimento al lavoro, mille persone tra commercio equo (oggettistica, bomboniere) informatica, verde e agricoltura.

La cooperativa Valle del Bonamico produce vino e piccoli frutti (il 10% dei lamponi di serra in Italia). Recenti le intimidazioni, 157 mila euro di lamponi cosparsi di diserbante e l’incendio dei teloni per rivestire le serre. “Stiamo in un paese dove la maggior parte delle famiglie sono mafiose: significa che ci sono figli o nipoti di mafiosi tra i nostri lavoratori. Un paradosso che ci ha anche attirato molte critiche”.

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Alfredo Andreoli ha deciso di non andare dietro al mercato, che per rimediare all’erosione del margine dell’agricoltore ha imposto più estensione, più chimica, varietà uniformi, piante fragili. I suoi Bom, buoni ordinari di mele, consistono in “gettoni al portatore” del valore di 6 euro l’uno che valgono 6 chili di mele quando verranno raccolte.

Alfredo serve GAS e privati. “Un prodotto fatto con cura,  poca lavorazione, alberi storici, rese meno alte ma risparmio energetico, senza mediatori, pubblicità, carte”. E chi va a trovarlo e insacchetta le mele sulla pianta contro gli insetti al raccolto avrà uno sconto …

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Una filiera corta virtuale. Idea semplice ma efficace che prende le mosse dal sito www.cibolocale.org (nato dall’esperienza del portale dei seed savers di Civiltà contadina, www.biodiversita.info), un motore di ricerca per la vendita diretta in fattoria, vera e propria mappa d’Italia del cibo più “fresco, sano e saporito, quello cresciuto vicino a te”.

Cliccando sulla propria regione, compare l’elenco delle fattorie dove si pratica la vendita diretta e l’eventuale link. Il sito, nato da pochi mesi, ha aumentato in un battibaleno il numero di segnalazioni. Può essere aggiornato automaticamente dagli utenti. L’obiettivo, oltre a un risparmio significativo, è un mercato con meno intermediazioni e un rapporto duraturo e consapevole fra domanda e offerta di cibo.

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Frutta e formaggi montano il contachilometri. Filiera corta è il fortunato concetto a cui tutti, dai Gruppi d’acquisto solidali a Slow Food, fanno oggi riferimento. Si definisce filiera corta” la più breve distanza tra luogo di produzione e luogo di consumo delle merci, in particolare di quelle alimentari. Un modello di relazione tra produzione e consumo dei prodotti agricoli che  -prima di tutto- permette di diminuire i prezzi, l’inquinamento per trasporti, e garantisce la freschezza e la varietà dei prodotti. L’espressione può assumere accezioni molto diverse: riduzione al minimo della distanza fra il campo e la tavola, ma anche eliminazione dei passaggi del sistema distributivo e di intermediazione, quelli che fanno lievitare il prezzo.

E -per introdurre una nuova categoria- può essere “corta” anche la filiera della conoscenza e della consapevolezza, per esempio quando si visita e si conosce personalmente il produttore, la storia di un prodotto, la struttura del suo prezzo. La filiera può dunque essere corta anche se le merci percorrono molti chilometri: è il caso di prodotti come le arance o l’olio, che al Nord non sono reperibili. Come l’olio e il vino di Urupia, -una delle ultime “comuni”, un collettivo agricolo e libertario pugliese- che vende ai Gruppi d’acquisto solidali del Nord, agli amici tedeschi, o le arance sicule di Roberto Licalzi, che proprio grazie ai GAS ha potuto mantenere viva la sua passione per la terra.

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C’è solo un camion, talvolta un furgoncino tra produttore e consumatore. Inoltre grazie al rapporto diretto il produttore si scioglie dai vincoli di varietà e “pezzatura” che sempre più spesso la grande distribuzione organizzata impone. Una tutela a priori della biodiversità. Le forme che assume la filiera corta sono ormai le più varie: le “self service milk machines” il latte fresco appena munto nei distributori sempre più diffusi in fornai, supermarket e piazze di piccoli paesi, la raccolta diretta dall’albero, che viene “adottato” per salvare una varietà locale (www.archeologiaarborea.org), fino ai siti internet di e-commerce biologico, un centinaio in Italia, secondo Biobank.

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L’unico limite è la fantasia. Alfredo Andreoli, un agricoltore mantovano, ha lanciato i Bom, Buoni ordinari di mele per acquistare direttamente e in anticipo un prodotto più sicuro e rispettoso dell’ambiente, mentre in Trentino è nato “Tra Passata e futuro”: nel 2005 Trentino Arcobaleno e ATABio hanno promosso l’acquisto in rete di 25 mila chilogrammi di pomodori trentini coinvolgendo 130 aziende biologiche trentine e 350 persone.

Prober (Associazione di produttori biologici e biodinamici dell’Emilia Romagna) ha lanciato “Mangiocarnebio”: a Bologna e Modena la carne bio ora arriva a domicilio, senza alcun passaggio intermedio. All’iniziativa aderiscono 12 aziende agricole biologiche (www.mangiocarnebio.it). Persino la grande distribuzione ci sta pensando: la Romagna potrebbe diventare il primo caso di filiera ravvicinata. “La Coop potrebbe impegnarsi a vendere nei propri supermercati locali frutta e verdura proveniente entro un raggio di pochi chilometri”, ha affermato Mario Cifiello, amministratore delegato di Coop Italia, in un recente convegno.

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Anche gli enti pubblici si muovono. Nel 2004 è nato a Roma il progetto pilota “Sportello Filieracorta”, un numero verde (800 032667), un ottimo sito (www.biopertutti.it) un ufficio aperto al pubblico, gestito dall’Aiab e sostenuto da Comune e Provincia. Nell’Urbe sono oltre 1.500 le famiglie che fanno la spesa in gruppo, magari on line come attraverso il sito di Officinae Bio. Anche la Provincia di Milano ha lanciato nei giorni scorsi il progetto “Campo in città”, con l’obiettivo di accorciare la filiera e incrementare la vendita diretta, coinvolgendo Gruppi d’acquisto solidali e aziende agricole “periurbane”.

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La vendita diretta in azienda è poi una forma insieme tradizionale e innovativa di filiera corta. Alla Cascina del Cornale (Magliano Alfieri, Cn) oggi è possibile acquistare oltre 1.400 prodotti del territorio, freschi o lavorati, provenienti da 17 piccole aziende biologiche e biodinamiche di Piemonte e Liguria. Oltre al punto vendita, l’“Abbonamentospesa” mensile dà diritto a ricevere una volta alla settimana i prodotti freschi.

La spesa diretta in fattoria a volte diventa conoscenza della cultura del territorio. Dal 2000 il consorzio della Patata Quarantina ha reintrodotto, nella provincia genovese, l’omonima varietà di patata. Un successo e un cavallo di troia. Il direttore Massimo Angelini: “Chi viene per la patata non solo visita le fattorie e le stalle, ma ci guarda in faccia. E compra anche la carne, i formaggi, gli ortaggi, i cereali”. I mercatini che “portano la campagna in città”, infine, sono centinaia. Attenzione però: un tema importante è l’accesso dei contadini produttori ai normali mercati comunali: il Comune di Roma ha riservato il 15 per cento degli spazi nei mercati rionali ai coltivatori diretti.

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