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L’organizzazione funzionale del progetto è organizzato intorno a due torri. Questa sorta si serra, se vogliamo anche così chiamarla, è realizzata da un struttura metallica direttamente ispirata dalla struttura dell’esoscheletro delle ali di una libellula. In questa utopica struttura possiamo incontrare uffici, laboratori di ricerca, abitazioni e spazi comuni, intercalati fra frutteti e aziende agricole. Agricoltura e allevamento sarebbero organizzati all’interno della “Libellula” di Callebaut in una struttura in acciaio e vetro in modo tale da mantenere livelli adeguati di nutrienti per il suolo e il riutilizzo dei rifiuti biodegradabili.
La distanza tra le ali della “Libellula” sono progettate per sfruttare l’energia solare e l’accumulo di aria calda nella struttura durante l’inverno. E far circolare l’aria fresca in estate attraverso la ventilazione naturale, l’evaporazione e traspirazione dalle piante. I giardini in superfici naturalmente filtrano l’acqua piovana che viene mescolata con quella di utilizzo domestico per poi essere filtrata e depurata e trattata prima di essere organicamente fatta ricircolare ad uso della fattoria. Il livello sanitario di questo approccio di azienda presenta anche un interessante potenziale per la decontaminazione dei terreni e di sotterranei inquinati, nonché la purificazione dell’atmosfera da CO2.
Sicuramente il progetto di Callebaut è più appropriato per Dubai che per New York ma il concetto di autoproduzione alimentare tramite l’agricoltura urbana è senza dubbio trasversale ad ogni grande metropoli. La nuova architettura sostenibile del progetto propone di reinventare la costruzione verticale della skyline di New York sia strutturalmente e funzionalmente come pure ecologicamente.
Come afferma Callebaut: “Il mondo dei fast-food e del cibo congelato è finita!” e continua “Dobbiamo riportare quello che ora chiamiamo solo -un interesse- verso una direzione progettuale dove dobbiamo lottare contro il sovraffollamento delle nostre a favore di comunità urbane agricole in grado di contribuire efficacemente e sostenibilmente alle nostre città oltre a ripensare la produzione alimentare. Sui tetti, sui terrazzi, sui balconi, in zone non costruite, su spazi pubblici, nei cortili interni e in sospensione in serre, -l’eco-guerriero- aspira a fuggire da questo sistema competitivo e consumistico imposto dalle leggi del mercato. Egli vuole coltivare il paesaggio in modo da creare egli stesso la propria biodiversità alimentare. In questo modo il consumatore diventa da allora il produttore! L’agricoltura urbana può alimentare la città senza pesticidi o sostanze chimiche antiparassitarie (la cui tossicità è per l’essere umano è chiara, provocando: cancro e sterilità …), offrendo inoltre una filiera a chilometro zero, l’agricoltura urbana completa così il tradizionale settore agricolo. L’agricoltura urbana inoltre è anche una leva di crescita per il mercato del lavoro nelle città contro la disoccupazione a favore di un’economia locale.”
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