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In prima linea in questo settore c’è il laboratorio di Omar Yaghi presso l’Università della California, a Los Angeles, che nel corso degli ultimi dieci anni ha contribuito a creare un nuovo settore della chimica industriale con i suoi blocchi cristallini organici MOF il quale già si pensa possa diventare la base per trattenere in modo stabile idrogeno nei serbatoi o CO2 in impianti fungendo da “depuratori”. Ora, il laboratorio ha creato una nuova generazione di MOF la cui ricerca sarà pubblicata entro la fine di quest’anno.
A occhio nudo, il MOF “è come una sorta di pietra”, spiega Wang Bo, ricercatore del laboratorio di Yaghi. Ma a livello molecolare, questi apparenti solidi sono una massiccia serie e rete circolare di gabbie, quasi come un nido d’ape o una spugna. Secondo Wang, ci vogliono due minuti a 60°C per far rilasciare 1 grammo di CO2 da ogni grammo di MOF per poi essere il materiale nuovamente pronto per un ulteriore uso. Il segreto del MOF risiede nella sua molecola composta a sua volta da molecole di metalli connessi fra loro da legami organici che possono essere facilmente modificati. Il laboratorio ha realizzato migliaia di versioni diverse delle molecole, per testare quale fosse la forma corretta per assorbire al meglio CO2.
Joseph Hupp, chimico a Northwestern University è certo che un materiale come il MOF potrà essere facilmente applicato al settore industriale e in particolare ai grandi impianti a carbone. Wang pensa che a breve la molecola sarà pronta per entrare in commercializzazione su scala industriale diventando facilmente accessibile. Già il laboratorio Yaghi ha collaborato con il gigante chimico BASF per produrre tre semplici MOF, chiamate Basolite, utilizzati per assorbire una vasta gamma di prodotti chimici. “Una volta che hai la ricetta, i MOF sono semplici da -montare-”, spiega Wang. “Inoltre è facile il suo utilizzo essendo un elemento solido e di facile installazione”, continua Wang. Resta da vedere però se sarà i MOF saranno in grado di competere commercialmente con gli altri materiali (liquidi e solventi). Wang sottolinea che la BASF ha già abbassato il prezzo della sua linea di Basolite a circa $ 10 per chilogrammo.
Il Dipartimento dell’Energia che sta scommettendo sui nuovi solidi porosi ha recentemente annunciato ulteriori finanziamenti di $ 2 milioni per un progetto di ricerca alla TDA Research Inc., una società privata con sede a Wheat Ridge, all’ombra del National Renewable Energy Laboratory. TDA ha proposto l’utilizzo di una particolare forma di carbone attivo per la cattura di CO2. Tipicamente, il carbone attivo (utilizzando anche nelle nostre cappe delle cucine casalinghe), è estremamente poroso e viene utilizzato per assorbire veleni e nel risanamento delle acque di falda o di trattamento delle acque reflue. Il carbone attivo sviluppato da Steven Dietz, ricercatore presso il TDA, è dotato di due diverse dimensioni dei pori, che egli chiama mesopori e micropori. In grado di incrementare l’assorbimento della CO2 ulteriormente rispetto al tradizionale carbone attivo.
La maggior parte dei carboni attivi è derivato da un processo chimico di cottura di parti di piante come i gusci delle noci di cocco, materiale che ancora oggi rappresenta uno dei limiti per gli impianto di produzione, spiega Dietz. Ma ora il TDA può sviluppare carbone attivo anche da zuccheri, il che significa poter esserci meno sprechi intorno a questa produzione agroalimentare, trattandosi di sostanze di sintesi. Grazie a queste nuove ricerche il DOE spera di creare tecnologie ad assorbimento della CO2 grazie a materiali solidi sostituendo quelli liquidi. Né Wang, né Dietz, sono così audaci da pensare alla propria soluzione come l’unica via da seguire. Ma come conclude Wang “Potrebbero rappresentare intanto un interessante alternativa”.
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