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Gli ecosistemi del deserto sono estremamente vulnerabili al degrado dei suoli e ad un’eccessiva desertificazione. Le terre aride coprono un terzo della superficie della terra e i paesi in via di sviluppo sono i più colpiti, povertà, instabilità politica e squilibri territoriali peggiorano la fragilità e la lenta ripresa delle terre aride. Mentre la deforestazione ampiamente praticata in tutto il mondo in via di sviluppo ne compromette irreparabilmente la produttività. Ma quale modello di sviluppo scegliere? Gli estremi vanno da importanti investimenti di capitale in infrastrutture che trasformano le condizioni naturali dei deserti a società separate dalla natura del luogo, ad esempio le megalopoli di Dubai. A metà strada tra queste due alternative esiste senz’altro una visione di sviluppo sostenibile per le aree desertiche in grado di creare equilibrio territoriale ed equità sociale.
Capire i problemi della desertificazione necessita spesso di un accurati approcci sistemici e ricerche multidisciplinari in molti settori della fisica come delle scienze sociali. Ma qualunque modello viene scelto, le decisioni devono essere basate su solide basi scientifiche e tecnologie sostenibili. Considerando e basandosi sulle conoscenze locali delle comunità che hanno imparato a vivere in queste condizioni estreme.
Un ambizioso progetto di paesaggio, Magnus Larsson, uno studente presso l’Architectural Association di Londra, ha proposto un muro lungo 6000 km di architettura in arenaria artificialmente solidificata nel deserto del Sahara, che da est a ovest, è in grado di offrire una combinazione di alloggi per rifugiati ed una “muraglia verde” contro l’avanzata del deserto. Come abbiamo accennato il progetto di Larsson, ha vinto meritatamente il primo premio nello scorso autunno presso la Holcim Foundation Awards per l’edilizia sostenibile tenutasi a Marrakech, Marocco. Uno degli aspetti più interessanti del progetto, a mio avviso, è che questo massiccio in arenaria solidificata viene creata attraverso una particolare forma innovativa di edilizia sostenibile, ossia attraverso una sorta di infezione trasmessa alla terra. In altre parole, Larsson ha proposto di utilizzare il conosciuto bacillo pasteurii, un “microrganismo, prontamente disponibile in paludi e nelle zone umide, che solidifica sabbia sciolta in arenaria.
- Alle Frontiere del Multidisciplinare: Fra Biologia, Scienza dei Materiali e Architettura Sostenibile
Larsson ricorda il lavoro svolto dal Soil Interaction Lab (SIL) presso che punta a “sfruttare l’azione microbica per solidificare i suoli”. Ma l’idea di questa ricerca e dell’applicazione su megascala, si pensi ad un tratto di 6000 chilometri nel deserto del Sahara è nata nella mente di Larsson. Il problema però è chiarire il processo biochimico attraverso il quale il suo progetto potrebbe essere realizzato, Larsson ha spiegato che la sua struttura è fatta direttamente da una serie di dune mediante l’utilizzo di questo particolare batterio che provoca una reazione biologica in cui la sabbia si trasforma in pietra arenaria. Secondo il SIL la prime reazioni si realizzerebbero nel giro di 24 ore, anche se sarebbe necessaria circa una settimana perché la sabbia si cristallizzi sufficientemente per rendere le strutture abitabili. Così il progetto risulta essere una sorta di test di bio-architettura del paesaggio. Le ricerche del SIL così stanno esaminando l’interazione tra processi biologici e l’ingegnerizzazione delle proprietà del suolo, con due obiettivi:
- Capire come e quando i processi biologici possono influenzare le prestazioni di ingegneria e geotecnica.
- Sfruttare e controllare processi biologici che biologicamente modificano le proprietà e il comportamento del suolo per applicazioni geotecniche.
I tradizionali metodi di lotta contro la desertificazione comprendono l’impianto di alberi e cactus, la coltivazione di erbe ed arbusti, e la costruzione di muretti e recinzioni per contenere la sabbia in perenne movimento. Progetti più ambiziosi si sono cimentati nello sviluppo del settore agricolo nel deserto (vedi anche: “L’Agricoltura nel Deserto Grazie alla Sabbia Idrofoba“) e del bestiame, la conservazione delle acque, la gestione del suolo, la silvicoltura, l’energia sostenibile, il miglioramento del suolo, la protezione della fauna selvatica, la riduzione della povertà, e così via. Questo progetto, oltre a utilizzare un modo completamente nuovo di trasformare la sabbia in pietra arenaria, incorpora tutte le caratteristiche di cui sopra. All’interno delle le dune, siamo in grado di prendersi cura delle nostre piante e gli animali, trovare acqua e ombra, aiutare il suolo fertile a rimanervi, così la cura per gli alberi, e così via.
Larsson poi sottolinea che la struttura stessa genera una “differenza di temperatura tra l’interno delle parti solidificate,le dune di sabbia e la superficie esterna delle dune”. Questo “permette di iniziare a costruire una rete permaculturale, come punti nodali per la raccolta delle acque e del comfort termico delle zone che possono essere abitate”, concludendo Larsson “l’utilizzo di batteri aerobici e anaerobici per processi che forniscano un’opportunità unica di sfruttare naturali processi biologici per l’ingegneria geotecnica è davvero affascinante.” La ricerca continua.
[ Links utili e approfondimenti ]
16 gennaio 2014 alle 08:37
L’idea dello studente Magnus Larsson, in linea di principio, ha delle interessanti potenzialità applicative; tuttavia, dubito che lo stesso abbia provato ad inoculare personalmente la sabbia con il bacillus pasteurii, un estremofilo che necessita di essere coltivato se non in un agar, in una soluzione (liquida) di urea. Se lo avesse fatto si sarebbe posto alcuni problemi:
- 1) la consistenza dell’aggregato inoculato, il quale inizialmente si presenta in forma inconsistente. Come realizzare l’avveniristica architettura multistrato che presenta nel suo progetto, con una massa incoerente che solo dopo circa 120 ore inizia a solidificare?
- 2) contatto della sabbia con l’acqua. La sabbia, seppure solidificata, dubito che possa sopportare una prolungata esposizione all’acqua delle oasi.
- 3) per ottenere una sufficiente additivazione sarebbe necessario ricorrere a fermentatori industriali di urea ed a trasportare “nel deserto” centinaia (se non migliaia) di autobotti “condizionate ad una temperatura standard non superiore a 25 °C)…
- 4) una volta coltivato il batterio, occorre alimentare “l’impasto” (per aspersione) nelle prime ore per far si che il batterio raggiunga le condizioni di crescita al plateau, e quasto va fatto in sede (cioè nel deserto!). Infatti il bacillus pasteurii – che produce CaCO3 trasformando Urea in Ureasi – comincia a legare i grani di sabbia solo dopo aver raggiunte le massime condizioni di densità di sviluppo ed iniziare ad “affamarsi”.
… se tutto ciò presenta non poche difficoltà in laboratorio….nel deserto sarà una “bella sudata”.
Ph.D. Ing. Giuseppe Madonia
Autore di varie pubblicazioni scientifiche nazionali ed internazionali sul bacillus pasteurii applicato alla realizzazione delle sovrastrutture stradali nonchè menzionato tra le 150 idee di successo dell’Università degli studi di Palermo e per l’originalità del contributo di ricerca (prima esperienza italiana nel settore).