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Un grande dibattito ha avuto luogo di recente riguardo alla 1° generazione di biocarburanti. Mentre nel frattempo abbiamo avuto una svolta e la commercializzazione della 2° generazione o lignocellulosici. Qui sotto grazie a Earth2Tech abbiamo suddiviso l’evoluzione intrapresa dai biocarburanti negli ultimi decenni.
- Prima generazione:
I biocarburanti di 1° generazione erano quelli che potevano contare su colture alimentari come materia prima. Mais, soia, palma e canna da zucchero sono tutte ottime fonti facilmente accessibili di zuccheri, amidi e olii.
I problemi maggiori con i biocarburanti di prima generazione sono numerosi e ben documentati dai vari media, che vanno dalle perdite di energia al netto delle emissioni di gas serra ad un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari (Propel Biofuels e Conserv Fuel)
- Seconda generazione:
I biocarburanti di 2° generazione o lignocellulosici, utilizzano la biomassa di residui agricoli o residui di mais come fonte per la produzione del biocarburante. I sistemi di produzione appositamente progettati utilizzano microrganismi per lavorare la materia prima dura come la cellulosa per estrarne zuccheri poi fermentato. In alternativa processi termochimici vengono utilizzati per trasformare la biomassa in liquido e poi gas trattato.
Numerosi fondi di società venture sono stati impiegati nelle start up di aziende dedicate allo sviluppo e ricerca sui biocarburanti di 2° generazione. Facendo risultare il processo economicamente ed efficacemente conveniente. Coskata ad esempio riesce a produrre etanolo per $ 1 a gallone utilizzando i vecchi pneumatici. Mascoma sta invece lavorando per rendere più efficace la trasformazione dei materiali lignocellulosici, mentre ZeaChem punta all’utilizzo degli alberi di pioppo per il biocarburante.
- Terza generazione:
La 3° generazionedi biocarburanti invece cerca di migliorare la qualità delle materie prime. Progettare colture in grado di aumentare la resa. Sono stati creati dagli scienziati alberi di pioppo con bassi contenuti di lignina per rendere il processo di lavorazione più facile. I ricercatori mappato il genoma di sorgo e di mais sono in grado poter consentire modifiche genetiche per gli agronomi per affinare il controllo della produzione di olio.
Monsanto e ADM lavorano alla modificazione genetica, insieme alla Arborgen in gradi di rendere il “design” degli alberi più facilmente lavorabile. Le facili critiche incorrono nell’eticità delle operazioni di modifica genetica.
- Quarta generazione:
Quando si parla invece di 4° generazionedi biocarburanti, si parla di microrganismi geneticamente modificati in grado di catturare grandi quantità di CO2, microbi, in modo tale che questi come rifiuto producano combustibile. La chiave per l’intero processo è l’utilizzo del gas serra CO2, un sistema che rende la produzione di biocarburante di 4° generazione un processo davvero in “negativo”. Tuttavia, l’anello debole ancora della catena risulta nella tecnologia in grado di catturare la CO2 pura per fornirlo ai microbi.
Craig Venter, con la sua Synthetic Genomics spiega che è in grado di progettare organismi in grado di inalare le emissioni di CO2 eliminando combustibili utilizzabili dall’uomo. Vedremo in questi 18 mesi se questa opportunità possa diventare veramente una realtà in termini di efficienza e di risparmio.
[ Links utili e approfondimenti ]
14 agosto 2016 alle 15:13
[...] Tuttavia come abbiamo potuto considerare recentemente nei nostri ultimi approfondimenti riguardo i biocarburanti e il biodiesel, non è tutto oro quel che luccica ma va comunque affrontato con spirito critico con [...]
20 marzo 2018 alle 15:03
[...] I biocarburanti di prima generazione sono quelli che devono contare su colture alimentari come materia prima. Mais, soia, palma e canna da zucchero sono tutte ottime fonti facilmente accessibili di zuccheri, amidi e olii. I problemi maggiori con i biocarburanti di prima generazione sono numerosi e ben documentati dai vari media, e vanno dalle perdite di energia al netto delle emissioni di gas serra ad un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Per dare l’idea della bassa produttività di questi biocarburanti, da un ettaro coltivato a mais si può arrivare a produrre una tonnellata di biodiesel: se i terreni italiani attualmente incolti (a meno che non ci sia qualcuno che preferisca andare in auto anzichè nutrirsi!…) fossero dedicati al mais per biodiesel, si riuscirebbe a soddisfare meno del 5% del parco trasporti nazionale. Non è certo una strada che porta lontano. [...]