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Una volta che la prossima generazione di biocarburanti sarà disponibile e commercializzata, si potrà andare tranquillamente alla stazione di rifornimento locale e fare il pieno di un liquido che è praticamente identico alla benzina o al diesel. E anche se questi nuovi biocarburanti rilasciano quantità di anidride carbonica quando vengono bruciati, gli organismi che gli producono consumano una quantità equivalente di biossido di carbonio tale da rendere questi biocarburanti neutrali al carbonio.
Come ben sappiamo la benzina viene raffinata dal greggio. Coloro che pensano al fai da te e non vogliono dipendere da alcuna società petrolifera si sono spinti addirittura a rielaborare vecchie automobili per utilizzare biocarburanti, spesso provenienti dalla trasformazione di oli vegetali di recupero come ad esempio dalle friggitrici dei ristoranti, immagazzinandoselo in serbatoi nel garage. Su scala commerciale, oggi il principale biocarburante più diffuso al mondo è l’etanolo. Proveniente dalla fermentazione del kernel del mais attraverso un processo biologico simile a quello con cui produciamo birra e vino. Oggi più del 40% per cento della sola benzina venduta negli Stati Uniti contiene etanolo tipicamente in una miscela E10 (dove il 90% è composta da benzina e il 10% da etanolo).
Il mais per produrre etanolo è stata la materia prima più utilizzata anche a causa di sovvenzioni pubbliche fioccata in diverse parti del mondo (in Brasile il caso simile riguarda la canna da zucchero). Ma l’utilizzo del mais per produrre etanolo come abbiamo visto non è stata la scelta migliore per diversi motivi e ultimo dei motivi lo abbiamo riportato la settimana scorsa rguardo al rapporto esistente fra salute carburanti e biocarburanti. Quindi, non solo la produzione di mais come ben immaginiamo potrebbe portare a carenze di cibo, ma affermano gli esperti che il processo non è efficiente come sembra.
Images by Microcontroleur
La maggior parte dei ricercatori così concordano sul fatto che è il momento di dimenticare il mais come base per la produzione di etanolo. Ma sono due le teorie su come procedere. Jay Keasling, un ingegnere chimico della Università di California Berkeley, è uno dei numerosi “investigatori” che cercano di produrre etanolo e relativi combustibili da piante come la “switchgrass”, che cresce rapidamente e resiste a molti parassiti e malattie. La sua sfida più grande come spiega riguarda sempre il lievito e altri microbi necessari a far fermentare le piante, compresi i gambi e gli steli, che sono le parti più difficili da digerire. Un altro punto, spiega Keasling che riguarda la produzione di etanolo e biocarburanti sostenibili da questa pianta è che richiede molto spazio, per non parlare del tempo per crescere: “la nostra domanda di biocarburante a base di colture bioenergetiche potrebbe superare velocemente la nostra capacità di produrlo.
Ed è questo il motivo per cui un secondo gruppo di scienziati, tra cui Craig Venter (che molte volte abbiamo menzionato per raccontare delle sue ricerche), biologo e imprenditore dell’Institute for Genomic Research di Rockville, che già ha svolto un ruolo chiave nella mappatura del genoma umano, stanno ora sostenendo il nuovo approccio più audace per la produzione di biocarburanti. I ricercatori credono che il miglior biocarburante non riguardi direttamente piante o alghe ma invece alcuni microrganismi che hanno la facoltà, l’abilità ed efficienza di trasformare direttamente la luce solare in energia attraverso la fotosintesi.
La produzione di biocarburanti di quarta generazione ancora non è stata sviluppata su vasta scala, ma indipendentemente dal metodo, gli scienziati sono convinti del fatto che dovranno migliorare Madre Natura per sviluppare con successo i biocarburanti, ritoccando magari microrganismi esistenti o addirittura progettandone nuovi di zecca. Ora decine di start-up sono in perpetua corsa per la fabbricazione di biocarburanti provenienti da ceppi di lieviti, alghe e batteri modificati geneticamente. Tutte con la promessa che entro il 2011 avranno creato benzina o diesel sostitutivi all’attuale che potrà essere pompata direttamente nelle auto.
“Voglio vedere quanto siamo in grado di ottimizzare le cellule per sondare i limiti della natura”, spiega Keasling, spiegando che i microbi sono vere e proprie fabbriche perfette in quanto possono essere progettate per eseguire praticamente qualsiasi reazione chimica. Da quando Keasling lavora alla Berkeley dal 1992, ha progettato batteri per produrre farmaci salvavita dalla malaria e plastiche biodegradabili oltre a creare una serie di abbattitori per i contaminanti ambientali.
Ora Keasling sta rivolgendo la sua attenzione al settore energetico. Nel dicembre del 2008 lui e i suoi colleghi hanno creato il Bioenergy Institute, uno dei tre nuovi Dipartimenti e centri di ricerca per lo sviluppo sostenibile di biocarburanti, che ha creato e modificato di recente un nuovo ceppo di lievito in modo che esso potesse generare enzimi digestivi normalmente utilizzati da quattro diversi microrganismi. Il lievito modificato potrebbe digerire qualsiasi prodotto vegetale come la cellulosa, producendo fino a 10 volte più biocarburanti di una produzione e coltur abioenergetica convenzionale. Keasling è cresciuto in una fattoria che coltivava mais in una piccola città del Nebraska, capendo perfettamente la logica e gli errori che stavano dietro la produzione di etanolo da mais. Le ricerche hanno anche dimostrato l’inefficienza di questa materia prima oltre alla canna da zucchero e altre colture agricole, in quanto tutte necessitano di una grande quantità di acqua dolce, di combustibili fossili, fertilizzanti e soprattutto di terreni per crescere.
Le ricerche di Keasling riguardano anche la creazione di microbi per produrre biocarburanti come il butanolo, l’isopentanolo e l’hexadecano. Anche se di struttura simile all’etanolo, questi combustibili hanno un comportamento molto più simile a quello della benzina. Essi contengono più energia per unità di volume. E, a differenza dell’etanolo, questi biocarburanti possono essere utilizzati direttamente nel serbatoio senza alcuna modifica. Abbiamo già parlato di aziende che stanno facendo ricerca in questo campo e sono proprio la Amyris Biotechnology, che Keasling ha co-fondato nel 2003 a Emeryville, e la LS9 che produce biodiesel dai batteri.
Ma altri scienziati sostengono che la fermentazione non è il modo migliore per produrre biocarburante. Venter infatti ritiene che il suo approccio sia migliore. I “più emozionanti” biocarburanti, spiega, “saranno prodotti da microbi che, quando vengono esposti alla luce del sole, consumano anidride carbonica e la trasformeranno in energia direttamente”. L’idea può sembrare troppo bella per essere vera, ma Venter, che è noto per la sua ambizione, conferma che la ricerca è già molto avanzata.
Venter e altri scienziati stanno sperimentando processi fotosintetici di microbi, alghe e cianobatteri (talvolta denominati alghe blu-verdi). Non solo questi microbi eliminerebbero l’anidride carbonica dall’aria, ma crescerebbero anche piuttosto rapidamente, alcune specie in appena 12 ore, mentre i vegetali possono richiedere settimane o mesi di tempo per farlo. I microrganismi fotosintetici immagazzinerebbero anche molto grasso, che costituirebbe la base per il biocarburante. Bruce Rittmann della Vermaas addirittura sosterrebbe che i microbi fotosintetici sono in grado di produrre fino a quasi 250 volte più olio per ettaro di numerose colture bioenergetiche. E mentre si progettano già gli impianti necessari alla produzione di biocarburante e dove farvi crescere innanzitutto questi microbi Venter, appena diventato partner della Life Technologies spiega di dover superare il prossimo ostacolo che riguarda la possibilità dei suoi microbi di rilasciare l’olio prodotto anziché conservarlo nella propria struttra molecolare. “La Synthetic Genomics realizzerà presto il test su livello commerciale. Abbiamo fatto passi da gigante in questi ultimi mesi”, spiega Venter, concludendo e suggerendo che un giorno società e nazioni potrebbe finire per creare una seconda rivoluzione industriale, alimentata soprattutto dalla necessità di annullare le proprie conseguenze ambientali. Il futuro ci attende.
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